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vol I 685 [PDF] - Compagnia di San Paolo

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ConclusioniBenché nella loro fase progettuale e <strong>di</strong> avvio l’unico elemento comunealle istituzioni della <strong>Compagnia</strong> <strong>di</strong> <strong>San</strong> <strong>Paolo</strong> ri<strong>vol</strong>te alle donne appaia la tuteladell’onore femminile, il loro funzionamento quoti<strong>di</strong>ano presenta un quadroben più ampio <strong>di</strong> caratteri con<strong>di</strong>visi, che vennero via via ad affermarsi e aprevalere sulle specificità iniziali. Queste trasformazioni si presentano comeil risultato <strong>di</strong> un complesso intreccio <strong>di</strong> elementi: gli orientamenti istituzionali,le strategie in<strong>di</strong>viduali e famigliari <strong>di</strong> benefattori e destinatarie dell’assistenza,i con<strong>di</strong>zionamenti politici e le relazioni <strong>di</strong> potere che caratterizzarono iltessuto sociale urbano. Al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> tutti, domina una crescente identificazionedegli in<strong>di</strong>rizzi istituzionali con i bisogni <strong>di</strong> un ceto me<strong>di</strong>o-alto, costituitoprevalentemente <strong>di</strong> esercenti le professioni liberali e <strong>di</strong> impiegati nella pubblicaamministrazione, soprattutto <strong>di</strong> formazione giuri<strong>di</strong>ca. Poiché a talegruppo risulta riconducibile anche una parte significativa dei <strong>San</strong>paolini, possiamoleggere in questo orientamento la manifestazione <strong>di</strong> un crescente spiritocorporativo. Uno dei segnali più evidenti <strong>di</strong> questa tendenza è rappresentatodalla creazione da parte delle opere <strong>di</strong> piazze pensionarie, che <strong>di</strong>vengonovieppiù maggioritarie e implicano dunque l’ammissione <strong>di</strong> un buon numero<strong>di</strong> donne le cui famiglie erano in grado <strong>di</strong> pagare una pensione. Anche quandola pensione è pagata da un fideiussore esterno alla famiglia, la sua presenzain<strong>di</strong>ca comunque che le assistite in questione avevano protettori benestanti einfluenti ed erano dunque parte <strong>di</strong> reti <strong>di</strong> patronage da cui erano generalmenteesclusi coloro che vivevano in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> reale in<strong>di</strong>genza. Se al Soccorsoe al Deposito l’attenzione verso il ceto me<strong>di</strong>o-alto non appare ancora cosìspecifica nel corso del Seicento, dalla metà del Settecento essa <strong>di</strong>viene un trattosaliente del loro operato. Nemmeno l’Opera delle forzate sfugge a questotrend. I confratelli opposero una forte resistenza già al progetto iniziale, <strong>di</strong>cendosiperplessi <strong>di</strong> doversi occupare <strong>di</strong> donne che definivano incorreggibili e neiconfronti delle quali ritenevano infruttuosa ogni azione rieducativa. Quando,dopo la fondazione dell’Opera del Martinetto, riuscirono ad affrancarsi dalleimposizioni regie, riorientarono il loro intervento verso donne provenienti dalceto me<strong>di</strong>o e ripensarono le Forzate come istituzione che poteva rispondereall’esigenza <strong>di</strong> un ricovero per malmaritate e donne sole <strong>di</strong> civile con<strong>di</strong>zione.Nel contesto torinese settecentesco, il perseguimento da parte dellesingole istituzioni <strong>di</strong> una carità sempre più circoscritta al gruppo sociale <strong>di</strong>provenienza dei fondatori non fu una prerogativa isolata della <strong>Compagnia</strong> <strong>di</strong>158

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