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vol I 685 [PDF] - Compagnia di San Paolo

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le scuole pubbliche non erano in grado <strong>di</strong> accogliere neppure tutte le aventi<strong>di</strong>ritto. Non a caso, erano molte le famiglie che si ri<strong>vol</strong>gevano agli «istitutibenefici che danno alle fanciulle del popolo una intellettuale e morale educazione»o alle «scuole private […] in gran numero sparse per la città» 16 .Istituti benefici e scuole private non erano affatto la stessa cosa: i primi,tra cui rientrava anche l’Educatorio duchessa Isabella, <strong>di</strong>pendevano da operepie sulle quali lo Stato esercitava un controllo almeno in<strong>di</strong>retto, <strong>di</strong>sponevano<strong>di</strong> internati e <strong>di</strong> «piazze <strong>di</strong> fondazione», ovvero <strong>di</strong> posti gratuiti per le <strong>di</strong>scendentidei benefattori e spesso avevano una lunga storia alle spalle; le secondeerano quasi sempre <strong>di</strong> recente creazione, erano gestite da una o poche insegnantied erano in proporzione assai più costose, pur <strong>di</strong>sponendo raramente<strong>di</strong> convitti. Nell’anno scolastico 1856/57, le scuole elementari degli istitutibenefici accoglievano 516 femmine e solo 417 maschi, mentre mancano i datirelativi alle scuole private. Nel 1865, delle 8338 bambine iscritte alle elementari,oltre la metà (4312) non frequentava le scuole comunali. Di queste, lamaggioranza (3320 allieve) era ospitata da istituzioni benefiche o caritate<strong>vol</strong>i,mentre le rimanenti 992 risultavano iscritte a scuole private. A fronte dellacrescente domanda, istituti <strong>di</strong> beneficenza e scuole private si pro<strong>di</strong>garonoper sod<strong>di</strong>sfare la richiesta d’istruzione delle famiglie torinesi. Per questo, lescuole cosiddette «libere», ovvero non <strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong>rettamente dal Comuneo dallo Stato, aumentarono più rapidamente <strong>di</strong> quelle pubbliche.Da secoli, poi, per le ragazze torinesi esisteva la possibilità <strong>di</strong> ricevereun’educazione extrafamiliare, nei casi, tutt’altro che maggioritari, in cui lefamiglie decidevano <strong>di</strong> non ricorrere a precettori privati. Sin dal Seicento, leragazze nobili e <strong>di</strong> famiglia agiata venivano accolte in alcuni monasteri citta<strong>di</strong>ni,che si erano attrezzati per ospitare educande per il tempo necessarioalla loro formazione, tenendole ben <strong>di</strong>stinte dalle novizie vere e proprie 17 .Le requisizioni <strong>di</strong> patrimoni ecclesiastici e le campagne contro l’istruzionereligiosa, condotte dai governi ri<strong>vol</strong>uzionari prima e dall’impero napoleonicopoi, avevano cambiato non poco il panorama citta<strong>di</strong>no. Alla Restaurazione, aTorino, restava attivo e circondato da buona fama il convento <strong>di</strong> <strong>San</strong>ta Croce,retto da quasi due secoli dalle Canonichesse regolari Lateranensi dell’Or<strong>di</strong>ne<strong>di</strong> <strong>San</strong>t’Agostino 18 .16Baricco, 1858, p. 12.17Sull’educazione impartita nei monasteri e sul significato sociale e culturale che essa possedevaagli occhi delle famiglie cfr. Sonnet, 1987; Zarri, 1990; I monasteri femminili comecentri <strong>di</strong> cultura, 2005; Evangelisti, 2007.18Sul convento in cui ospitavano le educande si veda L'antico convento <strong>di</strong> <strong>San</strong>ta Croce aTorino, 2005.171

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