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vol I 685 [PDF] - Compagnia di San Paolo

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attribuiti a personale stipen<strong>di</strong>ato invece che alle fanciulle stesse fa pensareche si accentuasse il carattere non popolare delle utenti: a queste si insegnavaa cucire, filare, riparare la lingeria, a far pizzetti, tutte attività che troviamotra i compiti domestici anche delle donne <strong>di</strong> classe me<strong>di</strong>a e persino superiore,mentre i lavori più umili (pulire, cucinare) si supervedevano ma non si s<strong>vol</strong>gevanoin prima persona 19 . È possibile che anche la piccola <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>queste istituzioni, abitate, come sottolinea Maritano, da numeri molto esigui<strong>di</strong> ricoverate, le renda appetibili per il ceto me<strong>di</strong>o: piccolo significa prestigioso,<strong>di</strong>fficilmente accessibile e ciò contribuisce a spiegare le <strong>di</strong>namiche competitiveper entrarvi. Lo stu<strong>di</strong>o chiarisce in effetti come, ben <strong>di</strong>versamenteda quanto sostenuto da Sherrill Cohen per le istituzioni femminili fiorentine,quelle torinesi erano luoghi in cui è desiderabile e non facile entrare. Spostandol’accento dalle politiche dall’alto alle pressioni dal basso, Maritano mettein luce in effetti una varietà <strong>di</strong> strategie attuate dalle famiglie per aggirare leregole e piegarle alle proprie esigenze. Tra queste vanno ricordate lo spostamentodella stessa giovane da un tipo <strong>di</strong> piazza ad un altro per prolungarneil soggiorno nell’istituzione, il ricovero <strong>di</strong> più sorelle, o ad<strong>di</strong>rittura quello <strong>di</strong><strong>di</strong>verse generazioni <strong>di</strong> donne della stessa famiglia, che sembrano dar luogo avere occupazioni dell’istituzione da parte <strong>di</strong> alcune famiglie.Questa attenzione alla domanda è dunque molto proficua perché mostracome già negli ultimi decenni del Seicento queste istituzioni cominciasseroad essere viste come luogo desiderabile dove crescere una figlia dal cetome<strong>di</strong>o. Si noti la datazione anticipata rispetto al caso romano analizzato daGroppi, che pone sul finire del Settecento la trasformazione della composizionesociale delle assistite, che da miserabili <strong>di</strong>vengono parte <strong>di</strong> un cetome<strong>di</strong>o e rispettabile. D’altra parte, in un recente stu<strong>di</strong>o su Bologna LuciaFerrante ha mostrato come già nel tardo Cinquecento il conservatorio femminile<strong>di</strong> <strong>San</strong>ta Marta si ri<strong>vol</strong>gesse precipuamente alle povere “declassate”,e cioè ad una povertà elitaria. Ferrante suggerisce dunque che l’azione <strong>di</strong>questa istituzione fosse da iscriversi nel più vasto fenomeno dell’assistenza ai“poveri vergognosi”. Il caso torinese stu<strong>di</strong>ato da Maritano pare però scostarsianche da questa interpretazione, che associa l’operare delle istituzioni perfanciulle alla <strong>di</strong>fesa dello status <strong>di</strong> élites in declino 20 . L’autrice sottolinea comeal Soccorso esistano fin dall’inizio piazze ri<strong>vol</strong>te a giovani che hanno i mezziper pagare una “pensione”. Scompare inoltre ben presto dalle con<strong>di</strong>zioni per19Ajmar-Wollheim, 2006; Ago, 2003, pp. 231-234.20Sui “poveri vergognosi” si veda Ricci, 1996.44

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