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Paál, László Paalen, Wolfgang Storia dell'arte Einaudi - Artleo.it

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palcoscenico. Con il Trionfo della rappresentazione dell’83,<br />

quello scenario si popola con i valletti di scena, silhouettes<br />

in controluce i cui raggi ottici raggiungono tele vuote<br />

o carte strappate e la cui funzione è quella di dar corpo<br />

all’assenza dell’opera. «Il momento della ver<strong>it</strong>à dell’opera<br />

coincide con la sua esposizione. Il suo disegno originale<br />

si compie nel luogo che l’accoglie. Un’esposizione è anche<br />

un’immagine, una cornice di tempo e di luogo che<br />

delim<strong>it</strong>a, senza prescrizione ma attuando invece la messa<br />

in scena dell’opera». Dalla prima mostra nel ’64 a oggi,<br />

attraverso un percorso che registra tappe salienti alle gallerie<br />

Notizie, dell’Ariete, Stein, Toselli, Pieroni e Bonomo<br />

e, all’estero, gallerie e kh a Berna e Colonia come<br />

pure a Lucerna, Münster, Lione e New York, ogni esposizione,<br />

anziché organizzare le singole opere in percorso<br />

museale, dilata nello spazio la vertigine di vuoto e di attesa<br />

dei singoli lavori. Un confronto eloquente tra le due<br />

versioni di Mnemosine. Nella prima, dell’80, un cono ottico<br />

tracciato a mat<strong>it</strong>a è scand<strong>it</strong>o in verticale da intervalli<br />

nominati dalle nove lettere che strutturano il nome. Un<br />

nome impronunciabile per il rimpiccolirsi, fino a farsi illeggibile,<br />

della scr<strong>it</strong>tura con il procedere verso il vertice<br />

del triangolo. In occasione dell’antologica alla gnam di<br />

Roma nell’88, invece, Mnemosine è culmine del percorso<br />

espos<strong>it</strong>ivo e si sviluppa lungo un’intera parete, messa in<br />

prospettiva, guardata a vista dai valletti e dove nove tele<br />

rovesciate vi si accostano e sovrappongono. Ogni mostra,<br />

dunque, assume un carattere non fin<strong>it</strong>o, di allestimento<br />

sempre in fieri, di cantiere ancora aperto: tele bianche,<br />

dr<strong>it</strong>te o rovesciate, sono appese sbilenche alle pareti o<br />

franano al suolo; ovunque frammenti di gessi, statue mutile,<br />

sagome che pendono capovolte dal soff<strong>it</strong>to, pagine<br />

strappate e sparpagliate. Dove il repertorio classico,<br />

quintessenza di bellezza e compiutezza, partecipa della<br />

stessa condizione di precarietà e impossibil<strong>it</strong>à. Nei lavori<br />

piú recenti, come i sette studi per Contemplator enim del<br />

’91, quella spinta centrifuga, quella deflagrazione nello<br />

spazio sembra cedere il passo a una maggiore concentrazione<br />

«nella stanza che custodisce la stessa possibil<strong>it</strong>à di<br />

manifestarsi dell’opera», cioè lo studio dell’artista.<br />

Anche qui, però nell’atrio del pavimento a scacchiera che<br />

conduce verso due porte aperte, compaiono impalcature,<br />

sbucano tele immacolate, foto strappate, servi di scena.<br />

Un diverso lessico, dunque, per una stessa sintassi. È P,<br />

<strong>Storia</strong> dell’arte <strong>Einaudi</strong>

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