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Paál, László Paalen, Wolfgang Storia dell'arte Einaudi - Artleo.it

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andò poi scartando pergamena e pelle a vantaggio della<br />

tela, in segu<strong>it</strong>o applicata solo lungo i tratti piú cr<strong>it</strong>ici quali<br />

giunture delle assi e imperfezioni del legno (Armenini).<br />

Su questa sorta di strato ammortizzante si stendeva a<br />

pennello una miscela di colle animali caricate con minerali<br />

inerti: il gesso biidrato prevalse nell’area med<strong>it</strong>erranea, il<br />

carbonato di calcio nel resto d’Europa. L’impasto era<br />

dato in piú mani, Cennini ne prescrive dodici, le prime a<br />

«gesso grosso», le altre a «gesso sottile». Sul modo di preparare<br />

il gesso sottile ci sono pervenute tre ricette simili<br />

tra cui quelle di Cennini e Giovanni da Modena, secondo<br />

le quali il gesso «grosso» (biidrato) tenuto trenta giorni in<br />

acqua diviene «sottile», cambia cioè – lo si è visto sperimentalmente<br />

– il proprio aspetto cristallino conferendo<br />

una diversa consistenza all’impasto, che diviene «morbido<br />

come seta» come appunto dice Cennini. Ultimo atto della<br />

p è la rasatura della superficie, che viene levigata quasi<br />

«fusse un avorio» (Cennini), per approntarla a ricevere il<br />

disegno preparatorio o, in alcune zone, ulteriori strati appos<strong>it</strong>amente<br />

studiati per tecniche decorative particolari<br />

quali la doratura a guazzo.<br />

La tecnica della miniatura su pergamena si avvaleva, come<br />

leganti, principalmente della gomma – di preferenza arabica,<br />

ma anche adragante, di ciliegio, ecc. –, dell’albume<br />

d’uovo, o di colla di pelli, ma anche di pesce, spesso con<br />

un’aggiunta di miele o zucchero a mo’ di plastificante. La<br />

pergamena era preparata alla buona con « acqua di colla»<br />

e miele; oppure su questo strato si potevano dare una o<br />

due mani di colla caricata con gesso sottile o con carbonato<br />

di calcio. Nell’alto Medioevo la pergamena era<br />

spesso tinta, in color porpora per le opere piú pregiate –<br />

si pensi al Codex purpureus di Rossano Calabro, splendidamente<br />

miniato, con lettere d’oro e d’argento –, ma anche<br />

in rosso, in giallo, ecc.<br />

Tavolette lignee, cartapecora e carta venivano preparate –<br />

per disegnarvi con stilo d’argento e rifinire a inchiostro<br />

ed eventualmente ad acquerello – spargendo sulla superficie<br />

un velo di polvere d’ossa di volatili calcinate e macinate.<br />

La tecnica era detta «inossare» (Cennini), e ne restano<br />

piú ricette tutte piuttosto simili. Cartapecora e carta potevano<br />

anche essere «tinte» (Cennini, Leonardo, Borghini,<br />

Baldinucci) in verde, cilestrino, grigio, rosso scuro o acceso,<br />

ecc., per conferire maggior rilievo al disegno avvalendosi<br />

«dell’oscur<strong>it</strong>à del campo e chiarezza de’ lumi» (Bor-<br />

<strong>Storia</strong> dell’arte <strong>Einaudi</strong>

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