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san carlo parte iniziale volume 5 valletrompia.qxd - Brixia Sacra

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BRIXIA SACRA<br />

Per il resto del Seicento non si riscontrano più iniziative su questo oggetto.<br />

La residenza dei cappellani proseguì le sue consuete attività nella <strong>parte</strong>cipazione<br />

agli uffici divini e riunioni, anche se non aveva ottenuto riconoscimenti<br />

ufficiali. Essa si ampliò e, contemporaneamente, si ripresentò l’antico<br />

disegno della collegiazione della chiesa. Ciò avvenne nei primi decenni<br />

del Settecento, quando la residenza contava, oltre all’arciprete, 18 preti. Il<br />

comune presentò a Venezia una richiesta in tal senso. Esso intendeva raggruppare<br />

12 sacerdoti, all’interno della residenza, a modo di capitolo canonicale,<br />

fornendo dati sul loro sostentamento: l’arciprete, il rettore di S. Stefano<br />

(don Baldassare Barbaleni), di S. Giorgio (don Ottavio Tomacelli), di<br />

S. Antonio (don G. Battista Zanetti), che fruivano di entrate di ducati bresciani<br />

1.580 da lire 5 venete; inoltre altri otto sacerdoti che potevano beneficiare,<br />

oltre che di cappellanie loro spettanti, anche delle rendite della residenza,<br />

assommanti a ducati 580 61 . Con decreto 15 maggio 1728 il senato<br />

veneto approvò l’erezione di «quella chiesa parrocchiale, in collegiata con<br />

prelato, e canonici»; il documento relativo osserva: «l’opera fu promossa sin<br />

dall’anno 1580 dalla <strong>san</strong>ta memoria dell’arcivescovo e metropolita s. Carlo<br />

Borromeo nella sua visita di detta chiesa di Salò, e tende all’augmento del<br />

culto del Signor Iddio, al maggior decoro di quella chiesa, et allo splendore,<br />

et ornamento della patria» 62 . Ma l’approvazione di Venezia non bastava;<br />

occorreva anche quella del vescovo di Brescia. Il capitolo della cattedrale di<br />

Brescia si espresse negativamente, affermando non di opporsi alla collegiata<br />

in sé, ma di «volersi riparare da quelle esorbitanze con che si studia ottenerla».<br />

Le obiezioni del capitolo consistevano sostanzialmente nel fatto che, se<br />

la chiesa parrocchiale fosse stata eretta in collegiata, per cui si richiedeva<br />

l’intervento dell’autorità papale, l’arciprete e l’arcipretura si sarebbero confusi<br />

nel collegio, e la cura avrebbe perso la sua caratteristica di parrocchialità,<br />

sottraendosi così alla giurisdizione vescovile.<br />

L’arciprete Lodovico Glisenti tentò in ogni modo di fissare i termini di un<br />

accordo con il capitolo di Brescia, presentando alcune condizioni a garanzia<br />

della parrocchialità: l’arciprete manteneva i suoi diritti ed era distinto dal prelato<br />

a capo della collegiata, che aveva il titolo di abate o vescovo titolare;<br />

morendo l’arciprete, la cura doveva restare vacante e il successore essere<br />

61<br />

AARS, n. 170, c. 2-2v.<br />

62<br />

Ibidem, c. 3.<br />

LXXXVIII

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