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30845 Suppl Giot.pdf - Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia

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dell’anca è rappresentata dalla tenotomia del retto anteriore. La<br />

tenotomia o la trasposizione dell’ileopsoas, invece, attualmente<br />

vengono eseguite più raramente, in quanto ritenute non efficaci<br />

nell’ottenere un reale benefico 8 12 . Molto spesso alla contrattura in<br />

flessione dell’anca concomita una contrattura in abduzione che può<br />

essere corretta attraverso il detensionamento della fascia lata, come<br />

descritto da Glorion e Rideau 13 . Anche a livello del ginocchio è<br />

spesso presente una contrattura in flessione, che può compromettere<br />

in varia misura la deambulazione, e che può essere risolta attraverso<br />

la tenotomia dei flessori. Questo tipo <strong>di</strong> approccio chirurgico può<br />

essere più e meno invasivo a seconda del quadro clinico. Nei casi<br />

meno gravi, solitamente viene eseguita la tenotomia dei flessori<br />

me<strong>di</strong>ali, che può essere effettuata per via percutanea o a cielo aperto,<br />

mentre nei casi più severi possono essere eseguite la tenotomia<br />

del bicipite femorale ed il <strong>di</strong>stacco dei gastrocnemi alla loro origine.<br />

Quest’ultima procedura, intervenendo sul sistema achilleo, possiede<br />

inoltre un potenziale effetto sulla correzione <strong>di</strong> un’eventuale<br />

deformità del piede in equinismo, che rappresenta una manifestazione<br />

piuttosto comune nei pazienti affetti da <strong>di</strong>strofia muscolare.<br />

La contrattura in equinismo può essere corretta attraverso <strong>di</strong>verse<br />

procedure chirurgiche in<strong>di</strong>rizzate ad indebolire l’azione del ten<strong>di</strong>ne<br />

d’achille. Tra queste, le più comunemente utilizzate sono rappresentate<br />

dalla tenotomia percutanea attraverso emisezioni alternate<br />

(come descritto da Hoke) 11 che indeboliscono il ten<strong>di</strong>ne mantenendone<br />

la continuità strutturale; dalla tenotomia a livello della giunzione<br />

mioten<strong>di</strong>nea secondo Vulpius 14 , utile in caso <strong>di</strong> deformità<br />

dovuta alla retrazione del solo gastrocnemio (esplorabile attraverso<br />

il test <strong>di</strong> Silfverskiold, che evidenzia la riducibilità della deformità<br />

consensualmente alla flessione del ginocchio); e l’allungamento a<br />

zeta che risulta efficace nel correggere i quadri più severi. Molto<br />

spesso la deformità del piede in equinismo si ritrova associata a<br />

deformità in varismo e supinazione. In questi casi può risultare<br />

utile, e in alcuni casi in<strong>di</strong>spensabile, effettuare oltre alla procedura<br />

chirurgica sul ten<strong>di</strong>ne d’Achille, la tenotomia dei flessori estrinseci<br />

del piede e, in particolare per la correzione della componente in<br />

varismo, la tenotomia dell’adduttore dell’alluce.<br />

In alcuni casi è possibile ottimizzare le risorse funzionali residue<br />

del paziente, sfruttando l’azione dei muscoli risparmiati dalla<br />

malattia o colpiti in maniera meno grave. Interventi <strong>di</strong> trasposizione<br />

ten<strong>di</strong>nea hanno appunto lo scopo <strong>di</strong> utilizzare la forza <strong>di</strong> alcuni<br />

muscoli per vicariare la mancata funzione <strong>di</strong> altri. In caso <strong>di</strong> deformità<br />

del piede in equino-varo-supinazione che preclude l’appoggio<br />

plantigrado e compromette la deambulazione, possono risultare<br />

utili interventi che ripristinano un assetto del piede più fisiologico,<br />

attraverso il ribilanciamento dell’azione muscolare residua. Tra<br />

le procedure più comunemente eseguite figura la trasposizione<br />

del ten<strong>di</strong>ne tibiale posteriore in funzione estensoria e pronatoria,<br />

attraverso la membrana interossea, a livello dei cuneiformi o dei<br />

metatarsali esterni 15 . Un’altra procedura analoga prevede la trasposizione<br />

del ten<strong>di</strong>ne o dell’emiten<strong>di</strong>ne del tibiale anteriore a livello<br />

della colonna esterna del piede. Entrambe queste tecniche hanno lo<br />

scopo <strong>di</strong> ottenere la correzione della deformità trasformando l’azione<br />

<strong>di</strong> un muscolo agonista della deformità stessa al fine <strong>di</strong> sopperire<br />

alla mancata azione da parte dei muscoli antagonisti.<br />

In particolari forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>strofia muscolare, come la <strong>di</strong>strofia facioscapolo-omerale,<br />

la malattia coinvolge elettivamente determinati<br />

C. Fal<strong>di</strong>ni, et al.<br />

gruppi muscolari, risparmiandone altri. Questo tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>strofia<br />

muscolare compromette la muscolatura dell’articolazione scapolotoracica<br />

(serrato anteriore, romboide, trapezio, grande e piccolo<br />

rotondo, elevatore della scapola) mentre solitamente risparmia i<br />

muscoli dell’articolazione gleno-omerale (deltoide, sovraspinato,<br />

sottospinato e sottoscapolare) 16 . La scapola non risulta quin<strong>di</strong><br />

stabilizzata alla gabbia toracica a causa dell’insufficienza della<br />

muscolatura scapolo-toracica, e questo si traduce in una scapola<br />

alata e una ridotta motilità del braccio, prevalentemente in flessione<br />

e abduzione. Attraverso la manovra <strong>di</strong> Horwitz 17 , che prevede che<br />

l’esaminatore stabilizzi la scapola del paziente comprimendola<br />

contro la gabbia toracica, è possibile valutare l’estensione del coinvolgimento<br />

della muscolatura del cingolo scapolare. Se i muscoli<br />

deltoide e sovraspinato sono risparmiati dalla malattia, durante<br />

l’esecuzione della manovra il paziente è in grado <strong>di</strong> compiere i<br />

movimenti <strong>di</strong> flessione e abduzione, e in questo caso la manovra<br />

è positiva. Quando tutti i muscoli della spalla sono coinvolti, il<br />

paziente non è in grado <strong>di</strong> abdurre o flettere anteriormente la spalla<br />

anche se l’esaminatore mantiene la scapola stabilizzata alla gabbia<br />

toracica, e in questo caso la manovra è negativa. I pazienti in cui<br />

la manovra <strong>di</strong> Horwitz risulta positiva possono giovarsi efficacemente<br />

dell’intervento chirurgico. L’intervento <strong>di</strong> scapulopessi prevede<br />

la stabilizzazione della scapola alla gabbia toracica attraverso<br />

cerchiaggi metallici, senza praticare un’artrodesi 18 (Fig. 1), con lo<br />

scopo <strong>di</strong> consentire al paziente <strong>di</strong> sfruttare la funzionalità residua<br />

della spalla, in particolare l’azione dei muscoli deltoide e sovra<br />

spinato. Può essere così consentito al paziente <strong>di</strong> compiere con<br />

gli arti superiori delle azioni, anche molto semplici, che a causa<br />

della malattia gli sarebbero altrimenti precluse e che rappresentano<br />

spesso gesti comuni nelle normali attività quoti<strong>di</strong>ane (pettinarsi,<br />

radersi, lavare il viso, lavare i denti, ecc.) 18 .<br />

Laddove siano invece presenti deformità rapidamente progressive,<br />

strutturate o non altrimenti riducibili è necessario intervenire<br />

attraverso procedure più invasive. Tenotomie e trasposizioni ten<strong>di</strong>nee,<br />

infatti, non sono sufficienti una volta che una deformità ha<br />

raggiunto una strutturazione osteo-articolare, in quanto il semplice<br />

ribilanciamento della forza muscolare residua non è in grado <strong>di</strong><br />

contrastare efficacemente la deformità. In questi casi risultano<br />

efficaci procedure come le artrodesi, che sacrificano determinate<br />

articolazioni, il cui movimento è comunque nella maggior parte<br />

dei casi già severamente compromesso, allo scopo <strong>di</strong> restituire una<br />

morfologia più funzionale al segmento interessato. Interventi <strong>di</strong><br />

artrodesi sono praticati molto frequentemente a livello del piede e<br />

della caviglia allo scopo <strong>di</strong> consentire un migliore appoggio a terra<br />

attraverso la correzione della deformità, salvaguardando il più possibile<br />

la capacità <strong>di</strong> mantenere la stazione eretta e la deambulazione.<br />

Nelle forme più gravi <strong>di</strong> <strong>di</strong>strofia muscolare, come la <strong>di</strong>strofia<br />

muscolare <strong>di</strong> Duchenne, i pazienti perdono precocemente la capacità<br />

<strong>di</strong> deambulare (in me<strong>di</strong>a tra i 9 e i 10 anni <strong>di</strong> età) e, costretti<br />

sulla se<strong>di</strong>a a rotelle, sviluppano rapidamente deformità scheletriche.<br />

In questi pazienti la correzione <strong>di</strong> deformità degli arti inferiori<br />

non viene effettuata alla scopo <strong>di</strong> favorire la deambulazione, già<br />

irrime<strong>di</strong>abilmente compromessa, ma ha lo scopo <strong>di</strong> migliorare la<br />

postura del paziente, offrendo la possibilità <strong>di</strong> tollerare in maniera<br />

più confortevole la costrizione alla se<strong>di</strong>a a rotelle. In questi pazienti<br />

sono inoltre quasi costantemente presenti deformità a carico della<br />

S127

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