30845 Suppl Giot.pdf - Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia
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Le protesi <strong>di</strong>scali lombari<br />
e <strong>di</strong> maggior ricerca in chirurgia vertebrale, il concetto della<br />
sostituzione <strong>di</strong>scale non è nuovo. I primi cenni letterari si trovano<br />
già a metà del secolo scorso, quando Nachemson 44 provò<br />
ad iniettare del silicone liquido autoindurente normalmente<br />
utilizzato nelle protesi testicolari in un <strong>di</strong>sco intervertebrale <strong>di</strong><br />
cadavere. L’impianto però andò incontro a rapida <strong>di</strong>sintegrazione,<br />
e fu quin<strong>di</strong> abbandonato. Proprio in quegli anni (1950) iniziò<br />
la prima esperienza clinica su larga serie con <strong>di</strong>schi artificiali 45 .<br />
Precisamente con cuscinetti in acciaio (Fig. 2), abbandonati dopo<br />
essere stati utilizzati su quasi 250 pazienti a causa dei cattivi<br />
risultati clinici e ra<strong>di</strong>ografici riportati 46 . Questi <strong>di</strong>schi metallici<br />
(cuscinetti SKF) posizionati nel <strong>di</strong>sco intervertebrale creavano<br />
ipermotilità segmentaria e finivano per forare i piatti <strong>di</strong>scali e<br />
sprofondare nei corpi vertebrali.<br />
Sulla stessa linea si ponevano anche le sfere <strong>di</strong> Harmon 47 , simili<br />
per concetto e forma, <strong>di</strong>fferenti solo nel materiale (vitalium),<br />
anch’esse rapidamente scomparse dal commercio.<br />
La prima protesi che tenesse conto anche della funzione elastica<br />
del <strong>di</strong>sco intervertebrale fu la protesi <strong>di</strong> Fassio 48 in silastic e<br />
resina sintetica, abbandonata dopo 3 impianti a causa del <strong>di</strong>fficile<br />
e <strong>di</strong>struttivo approccio posteriore, e del finale affondamento<br />
dell’impianto nei corpi vertebrali.<br />
Molteplici sono stati negli anni gli impianti protesici stu<strong>di</strong>ati<br />
e mai usciti in commercio. Meritano menzione, tra questi, una<br />
protesi <strong>di</strong>scale composta da due cuscinetti (che potevano essere<br />
prodotti in <strong>di</strong>fferenti materiali) brevettata da van Steenbrugghe<br />
del 1956 49 , l’impianto <strong>di</strong> Stubstadt a spirale con proprietà <strong>di</strong><br />
memoria elastica 49 , un impianto <strong>di</strong>scoide simil-vescicale con<br />
iniezione del liquido dopo l’inserzione brevettato da Froning nel<br />
1975 49 , la protesi <strong>di</strong> Main 49 del 1989 con sostituzione <strong>di</strong>scale<br />
e vertebrale, la protesi espan<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> Pisharo<strong>di</strong> del 1991 49 ,<br />
l’impianto combinato anteriore e posteriore <strong>di</strong> Graf del 1999 49 ,<br />
l’impianto cilindrico <strong>di</strong> Bryan e Kunzler 49 .<br />
Con gli anni ’80 arrivarono le moderne protesi. Tra le prime la<br />
Acrofex <strong>di</strong> Steffee 50 con due piatti in titanio e un cuscinetto in<br />
gomma polyolefin a base esagonale. Dopo <strong>di</strong>screti risultati a<br />
3 anni su 6 pazienti fu però ritirato a causa <strong>di</strong> possibili effetti<br />
cancerogeni <strong>di</strong> un prodotto chimico utilizzato nel processo <strong>di</strong><br />
vulcanizzazione della gomma 51 . La Acroflex subì successive<br />
mo<strong>di</strong>fiche, ma venne definitivamente ritirata a causa del fallimento<br />
dell’impianto in vivo nonostante i test <strong>di</strong> laboratorio<br />
Fig. 2. Cuscinetti <strong>di</strong> Fernstrom (da: Szpalski et al., 2002).<br />
S202<br />
Fig. 3. Differenti impianti per protesi lombari oggi in commercio (da: Le Huec et al., 2007).<br />
Fig. 4. La protesi Maverick.<br />
sulla tenuta dell’inserto elastico (debridement del polyolefin) 49 .<br />
La SB Charité fu progettata da Schellnac e Buttner-Jans nella<br />
Repubblica Democratica Tedesca e impiantata per la prima volta<br />
nel 1984 da Zippel 52 . In questo caso, dopo il fallimento delle prime<br />
versioni a causa <strong>di</strong> mobilizzazioni o fratture da fatica del metallo,<br />
si è arrivati con la III versione (Fig. 3) ad una protesi sicura e<br />
largamente impiegata, che tra l’altro è quella con maggior followup<br />
53 . Questa III versione è composta da un nucleo in polietilene<br />
biconvesso con un anello metallico ra<strong>di</strong>o-opaco.<br />
Altre protesi tutt’oggi usate sono la Pro-Disc, la Maverick, e la<br />
Flexicore (Fig. 3). La Pro-Disc presenta sempre il cuore in polyethylene,<br />
contenuto però tra 2 piatti alette verticali [54]. La prima<br />
versione, impiantata per la prima volta a Montpellier nel 1990<br />
aveva piatti in titanio con doppia chiglia. Nel<br />
1999 è uscita la seconda versione (ProDisc-<br />
II) con piatti in cromo-cobalto con superficie<br />
a plasma-sprayed e singola chiglia superiore<br />
(Fig. 3).<br />
La Maverick (Fig. 4) è invece un impianto<br />
ad interfaccia metallo-metallo (cromo-cobalto)<br />
con un centro <strong>di</strong> rotazione fisso posteriore tipo<br />
articolazione semisferica concavo-convessa 55 .<br />
Anche la Flexicore (Fig. 3) è una protesi a<br />
interfaccia metallo-metallo a centro <strong>di</strong> rotazione<br />
tipo articolazione semisferica concavoconvessa<br />
i cui piatti esterni sono rivestiti in<br />
plasma spray in titanio per migliorarne l’osteointegrazione.