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30845 Suppl Giot.pdf - Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia

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Sempre nel 1991 Kampner 48 riprendendo un’idea <strong>di</strong> Hetherington 49<br />

realizza una protesi in carbonio pirolitico non vincolata non cementata<br />

con steli simmetrici ed utilizzabile anche come emiprotesi sia<br />

del versante metatarsale che falangeo. L’esperienza con questo<br />

modello è però modesta per la non approvazione da parte dell’FDA<br />

e soprattutto per gli elevati costi <strong>di</strong> produzione.<br />

Nel 1993 Blair e Brown 50 presentano un nuovo sistema prodotto<br />

dalla Osteomed, denominato Bio Action System costituito da una<br />

protesi in due misure per ciascun lato con stelo simmetrico, non<br />

cementata e non vincolata. La componente metatarsale è realizzata<br />

in cromo-cobalto, mentre quella falangea è in titanio e polietilene<br />

ad alta densità. Questa protesi a tutt’oggi <strong>di</strong>sponibile ed utilizzata,<br />

ha <strong>di</strong>mostrato anche recentemente, risultati nettamente migliori<br />

rispetto alle altre, con percentuali <strong>di</strong> risultati sod<strong>di</strong>sfacenti dal 77<br />

all’80% a <strong>di</strong>stanza da 2 a 5 anni 51 52 .<br />

Nel 1994 Werner in collaborazione con l’ingegnere Moje 53 presenta<br />

una protesi non vincolata, inizialmente avvitata poi fissata<br />

con press-fit e realizzata in ossido <strong>di</strong> zirconio rivestito con apatite<br />

e fosterite (bioverit). La protesi è modulare ed è <strong>di</strong>sponibile in due<br />

versioni: uno con steli simmetrici, mentre l’altro con stelo metatarsale<br />

inclinato <strong>di</strong> 15°. Questa protesi, <strong>di</strong>stribuita dalla Orthofix,<br />

sembra essere affidabile con risultati sod<strong>di</strong>sfacenti dal 77 al 100%<br />

con follow-up fino a 3 anni 53 54 .<br />

Nel 1994 la Kinetikos Me<strong>di</strong>cal Inc. introduce una protesi denominata<br />

Kinetik Great Toe Implant (KGTI) 55 non vincolata, anatomica<br />

e non cementata. La componente metatarsale in titanio è sferica con<br />

flangia dorsale e superficie plantare appiattita; lo stelo è inclinato <strong>di</strong><br />

15° rispetto alla superficie articolare. Anche la componente falangea<br />

e’ in titanio con superficie articolare in polietilene. I risultati <strong>di</strong><br />

questa protesi non sono riportati.<br />

Un modello oggi <strong>di</strong>sponibile è la protesi denominata Re-flexion<br />

immessa sul mercato nel 1996 dalla Osteomed. Si tratta <strong>di</strong> un<br />

impianto non vincolato modulare in tre misure, con le tre opzioni<br />

<strong>di</strong> fissazione: cementato, non cementato o ibrido. La componente<br />

metatarsale è in titanio con stelo inclinato <strong>di</strong> 17° rispetto alla testa<br />

ed inserto articolare in cromo cobalto. La componente falangea è<br />

in titanio-polietilene ad alta densità. Per questa protesi sono previsti<br />

dei template che permettono attraverso la modularità nella<br />

scelta delle misure, un bilanciamento capsulare ottimale. I risultati<br />

sod<strong>di</strong>sfacenti riportati con questa protesi sono <strong>di</strong> poco superiori<br />

al 60% ad una <strong>di</strong>stanza dai 2 ai 4 anni con in particolare una non<br />

correlazione fra risultato clinico e percentuale <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>olucenze<br />

ra<strong>di</strong>ografiche 56 57 .<br />

Nel 1999 viene introdotto sul mercato dalla Plus Orthopae<strong>di</strong>cs il<br />

sistema denominato Toefit-Plus che comprende una artroprotesi,<br />

impiantabile anche come emiprotesi della base, in titanio sabbiato<br />

e con componenti avvitate a sezione conica. L’inserto articolare<br />

metatarsale è in cromo-cobalto, mentre l’inserto articolare falangeo<br />

è in cromo-cobalto nell’emiprotesi ed in polietilene ad alta densità<br />

per la protesi totale. Anche questo è un sistema modulare che permette<br />

un’accurata pianificazione e <strong>di</strong> raggiungere, durante l’intervento,<br />

il più idoneo bilanciamento capsulare.<br />

I risultati <strong>di</strong> questa protesi a tutt’oggi forse la più utilizzata, sono<br />

sod<strong>di</strong>sfacenti in circa l’80% con necessità <strong>di</strong> chirurgia <strong>di</strong> revisione<br />

nel 20-25% dei casi con follow-up da 3 a 5 anni secondo alcuni 58 ,<br />

mentre altri autori riportano oltre il 16% <strong>di</strong> complicazioni, oltre il<br />

F. Ceccarelli, et al.<br />

20% <strong>di</strong> revisioni entro 3 anni e una per<strong>di</strong>ta del movimento nel 63%<br />

dei casi entro 4 anni 59 .<br />

Nel 1999 Kofoed 60 introduce un nuovo sistema denominato ROTOglide<br />

che comprende una protesi semi vincolata a tre componenti<br />

con menisco mobile per scivolamento e rotazione. Le componenti<br />

metalliche sono costruite in titanio poroso rivestito in idrossiapatite.<br />

La componente metatarsale ha uno stelo <strong>di</strong>afisario inclinato <strong>di</strong><br />

15° rispetto alla superficie articolare che presenta inoltre una rotaia.<br />

La superficie articolare della protesi riveste la metà superiore della<br />

testa metatarsale, mentre la rotaia centrale si continua con la naturale<br />

cresta della testa metatarsale. La componente falangea è neutra<br />

ed è dotata <strong>di</strong> un alloggiamento a sezione rotonda per lo stelo del<br />

menisco mobile che permette quin<strong>di</strong> anche movimenti in rotazione<br />

del <strong>di</strong>to. Il menisco mobile è in polietilene ad alta densità e <strong>di</strong>sponibile<br />

in due modelli con due misure: un menisco anatomico ed uno<br />

denominato “special” caratterizzato da una flangia dorsale. Anche<br />

questa protesi ha uno strumentario de<strong>di</strong>cato con guide <strong>di</strong> taglio.<br />

I risultati riportati dall’autore sono sod<strong>di</strong>sfacenti nel 95% dei casi<br />

con un follow-up fino a 5 anni 60 .<br />

L’aNaLISI<br />

L’elevata percentuale <strong>di</strong> complicanze presentate dalle protesi <strong>di</strong><br />

prima metatarsofalangea in maniera proporzionale alla <strong>di</strong>stanza<br />

dell’intervento, è principalmente rappresentata dalla mobilizzazione<br />

della protesi stessa, dalla rottura, dalla usura dei materiali, dalla<br />

possibilità <strong>di</strong> infezione, da reazioni tessutali al materiale, da sinoviti<br />

acute o croniche da detriti, da per<strong>di</strong>ta della massa ossea locale, da<br />

sinostosi, da rigi<strong>di</strong>tà dell’articolazione.<br />

In particolare problemi <strong>di</strong> biocompatibilità si sono avuti con le protesi<br />

in silicone che, dopo il fallimento e la rottura, possono determinare<br />

sinoviti da detriti e reazioni granulomatose da corpo estraneo:<br />

le particelle <strong>di</strong> silicone liberate possono migrare nell’organismo<br />

attraverso il sistema linfatico con conseguente linfoadenopatia<br />

satellite, come riportato da numerosi autori 61-64 . Anche i materiali<br />

riassorbibili hanno <strong>di</strong>mostrato, sebbene in misura minore, problemi<br />

<strong>di</strong> compatibilità per lo svilupparsi <strong>di</strong> fistolizzazioni asettiche forse<br />

determinate dalla eccessiva velocità <strong>di</strong> riassorbimento. Tali fenomeni<br />

nella maggior parte dei casi sono regre<strong>di</strong>ti spontaneamente e<br />

molto raramente hanno determinato un risultato non sod<strong>di</strong>sfacente<br />

35 36 .<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista meccanico il fallimento <strong>di</strong> una protesi è in generale<br />

determinato dalla elevata quantità <strong>di</strong> stress che la deambulazione<br />

produce a livello della prima articolazione metatarsofalangea,<br />

in rapporto alle relativamente piccole <strong>di</strong>mensioni della protesi.<br />

Jhonson 40 già nel 1986 aveva calcolato che una forza <strong>di</strong> 15 kg perpen<strong>di</strong>colare<br />

al polpastrello del <strong>di</strong>to, si trasforma a livello articolare,<br />

in una forza <strong>di</strong> compressione assiale (denominata “effetto pistone”)<br />

<strong>di</strong> ben 55 kg e stress <strong>di</strong> taglio pari a 7 kg. È intuitivo che se la resezione<br />

ossea effettuata per l’applicazione della protesi risulta eccessiva,<br />

la quantità <strong>di</strong> forze che attraversano l’articolazione si riduce<br />

drasticamente aumentando la sopravvivenza dell’impianto producendo<br />

però una insufficienza funzionale dell’alluce, sovrapponibile<br />

a quella che si avrebbe con le artroplastiche, come documentato<br />

da Areson e Proner 65 . Questi autori hanno <strong>di</strong>mostrato che tutti i<br />

pazienti operati con protesi <strong>di</strong> Swanson non presentavano appoggio<br />

S267

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