30845 Suppl Giot.pdf - Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia
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arTrOPrOTESI DI GINOCCHIO<br />
Il ginocchio rappresenta la sede ove più frequentemente si ricorre ad<br />
una sostituzione protesica nel paziente emofilico (Fig. 2 A, B, C).<br />
Dopo le prime pioneristiche esperienze degli anni ’70-80, non<br />
sempre caratterizzate da risultati del tutto sod<strong>di</strong>sfacenti 26,27,28 il<br />
miglioramento delle cure ematologiche e soprattutto l’evoluzione<br />
tecnologica delle protesi <strong>di</strong> ginocchio hanno reso questo intervento<br />
affidabile e dai risultati estremamente sod<strong>di</strong>sfacenti 29,30,31 . In tutti<br />
i casi infatti i miglioramenti relativi a dolore, sanguinamento,<br />
allineamento dell’arto e capacità deambulatoria sono sorprendenti<br />
e determinano un netto incremento della qualità della vita del<br />
paziente emofilico.<br />
Le problematiche emergenti, oltre al problema settico <strong>di</strong> cui abbiamo<br />
già parlato, sono rappresentate dal trattamento specifico delle<br />
gravi deformità articolari che caratterizzano l’artropatia emofilica<br />
al ginocchio e dalla giovane età dei paziente che richiedono una<br />
peculiare attenzione sia alla tecnica chirurgica che alla selezione<br />
dei materiali e della fissazione.<br />
Per quanto riguarda la tecnica chirurgica vi sono due aspetti principali<br />
da affrontare: il ridotto arco <strong>di</strong> movimento, sia in flessione che<br />
in estensione, nonché la gestione delle deformità articolari.<br />
Il ridotto arco <strong>di</strong> movimento rappresenta da sempre la principale<br />
sfida nell’approccio chirurgico del paziente emofilico, ed infatti in<br />
molte casistiche l’incremento me<strong>di</strong>o dell’arco <strong>di</strong> movimento non<br />
supera i 20°, con una flessione me<strong>di</strong>a post-operatoria variabile da<br />
60 a 75° 15 . Il ginocchio emofilico è infatti caratterizzato quasi sempre<br />
da una gravissima contrattura in flessione, da retrazioni capsulari<br />
e legamentose, da un retrazione dell’apparato estensore e da<br />
una grave limitazione della flessione che raramente supera i 90°.<br />
Il primo problema da affrontare è pertanto l’esposizione: noi eseguiamo<br />
un’artrotomia pararotulea me<strong>di</strong>ale che tuttavia spesso non<br />
è sufficiente per l’eversione della rotula e sono necessari tempi<br />
chirurgici accessori. In or<strong>di</strong>ne eseguiamo lo snip del quadricipite e<br />
il <strong>di</strong>stacco della tuberosità tibiale, evitando sempre il “quadricep’s<br />
turndown”; per facilitare l’eversione in alcuni casi abbiamo eseguito<br />
le resezioni femorali come primo passaggio, o alternativamente<br />
la resezione tibiale senza lussare la tibia.<br />
Eseguiamo quin<strong>di</strong> la resezione tibiale con un slope non superiore ai<br />
3° e la resezione del femore <strong>di</strong>stale aumentata <strong>di</strong> almeno 2 o 4 mm.<br />
Ambedue le scelte sono volte a migliorare le gravi contratture in<br />
flessione sempre presenti nel paziente emofilico. A questo punto<br />
completiamo i tagli femorali e successivamente eseguiamo il bilanciamento<br />
legamentoso selettivo dando la preferenza alla sostituzione<br />
del LCP e applicando una componente postero-stabilizzata.<br />
La gestione delle deformità articolari talvolta richiede l’applicazione<br />
<strong>di</strong> cunei o spessori; più spesso abbiamo utilizzato spessori<br />
me<strong>di</strong>ali a livello tibiale, o spessori posteriori a livello femorale. In<br />
questi casi utilizziamo uno stelo <strong>di</strong> estensione meta-<strong>di</strong>afisario con<br />
la modalità dell’“exact fit”, cioè curando <strong>di</strong> non determinare un fit<br />
eccessivo che potrebbe determinare una riassorbimento metafisario<br />
col fenomeno dello stress shiel<strong>di</strong>ng.<br />
Eseguiamo costantemente la protesizzazione della rotula, <strong>di</strong>versamente<br />
da quanto facciamo nel trattamento dell’artrosi <strong>di</strong> ginocchio<br />
ove preferiamo la protesizzazione selettiva; <strong>di</strong>amo particolare importanza<br />
a centrare la rotula evitando sia il tilt che lo shift rotuleo; questo<br />
a B<br />
C<br />
M. Innocenti, et al.<br />
Fig. 2 a-B-C. Severa <strong>di</strong>struzione articolare<br />
con grave deformità in varo in paziente emofilico<br />
<strong>di</strong> 37 aa (A). Impianto <strong>di</strong> protesi totale <strong>di</strong><br />
ginocchio cementata con componente femorale<br />
in oxinium (B). Completo range <strong>di</strong> movimento a<br />
<strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> 3 mesi dall’intervento (C).<br />
si ottiene curando in particolare l’allineamento rotatorio delle componenti<br />
femorale e tibiale che influenza strettamente il percorso della<br />
rotula protesica ed eseguendo una resezione rotulea con particolare<br />
attenzione alla <strong>di</strong>rezione del taglio che deve essere parallelo all’equatore<br />
della rotula nativa, allo spessore del costrutto e alla posizione<br />
me<strong>di</strong>o-laterale del bottone protesico; con tali accorgimenti è raro<br />
dover eseguire un lateral release, eventualmente preferendo una perforazione<br />
multipla del retinacolo piuttosto che un release formale.<br />
Il secondo problema è la durata degli impianti per la giovane età<br />
nella quali questi pazienti ricorrono alla sostituzione protesica<br />
(34,5 aa. nella nostra casistica). Per tale motivo dal 2001 abbiamo<br />
utilizzato una componente femorale in zirconio ossidato (Oxinium)<br />
per cercare <strong>di</strong> ridurre i problemi relativi all’usura del polietilene 32<br />
e utilizzando in questi casi impianti cementati.<br />
Quando la qualità dell’osso lo rendeva possibile è stata impiegata un<br />
impianto con componente tibiale in trabecular metal, considerandoli<br />
idonei ad una componente non cementata particolarmente elastica, e<br />
riservando questa soluzione prevalentemente a pazienti con artropatia<br />
<strong>di</strong> anca e ginocchio omolaterale; l’elasticità del trabecular metal e il<br />
minore lift off <strong>di</strong> tale impianto permette alla tibia protesizzata <strong>di</strong> meglio<br />
assorbire carichi assiali particolarmente anomali quali in un paziente<br />
con artropatia sovra e sottostante (Fig. 3A, B, C, D, E, F).<br />
Per quanto riguarda la nostra esperienza nel periodo compreso<br />
dal gennaio 1999 al <strong>di</strong>cembre 2009 abbiamo eseguito 67 protesi<br />
totali <strong>di</strong> ginocchio in pazienti affetti da artropatia emofilica con età<br />
me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 34,5 anni (range 24-72).<br />
In 51 casi si trattava <strong>di</strong> protesi Genesis 43 ps e 8 cr, in 6 casi <strong>di</strong><br />
protesi Legion, quando per la presenza <strong>di</strong> cunei siamo ricorsi e steli<br />
<strong>di</strong> estensione, in 7 casi abbiamo utilizzato una protesi Next gen con<br />
piatto tibiale non cementato in trabecular metal.<br />
Solo in 3 casi, in presenza <strong>di</strong> una grave instabilità abbiamo utilizzato<br />
una protesi vincolata.<br />
Con questo approccio abbiamo avuto un solo insuccesso costituito<br />
da un allentamento asettico della componente femorale risolta con<br />
un l’ausilio <strong>di</strong> un cone in trabecular metal.<br />
Abbiamo peraltro revisionato 12 protesi impiantate in altri centri e<br />
in 8 casi si trattava <strong>di</strong> primi impianti vincolati con steli cementati<br />
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