Il Forte sul Fiume

giovane. Il silenzio tra noi si prolungava finché divenne insostenibile.
«Lucano...» presi a dire, ma con un gesto della mano mi invitò a
tacere. Quando parlò, la sua voce esprimeva il freddo distacco del
medico. In quel momento taceva l'amico e parlava il dottore.
«Una volta, per la precisione l'ultima volta che abbiamo avuto
occasione di stare insieme, ci siamo detti che tra noi non ci sarebbe
stato bisogno di scuse se fossero insorte divergenze di vedute. Il
principio si applica ora. Ho mancato nei tuoi confronti: sono stato
sbadato e negligente a non accorgermi quanto ti tormentasse il tuo
stato di salute. So che ne sei spaventato, ma hai nascosto così bene la
tua angoscia che l'ho persa di vista. Occupiamocene subito. Togliti la
tunica.»
«Perché? Hai visto la macchia questa mattina.»
«Sì, ma ora ti chiedo di esaminarla insieme a me. Svestiti.»
Feci come mi era stato chiesto e scoprii il petto sicché il Segno -
ormai così lo chiamavo nei miei pensieri - fu esposto al suo sguardo
e al mio, sebbene io lo vedessi da un'angolazione deformante.
Lucano avanzò e, pizzicandomi la pelle, la tese stringendola tra il
pollice e l'indice al punto che la cute intorno al Segno si schiarì fino
ad assumere lo stesso colore bianco della parte centrale della
macchia.
«Ti fa male?» Scossi la testa. «La sensibilità è intatta oppure è
scomparsa? Senti che ti pizzico?»
«No.»
«Pensa bene prima di rispondere. È cambiata in qualche modo -
nella forma, nel colore, nella sensibilità - in questi mesi?»
Trattenni il diniego che mi era salito d'impulso alle labbra per
riflettere. La macchia non si era allargata da quando era comparsa.
Riuscivo ancora a coprirla completamente con il polpastrello del
pollice. «No,» dissi alla fine «non è cambiata.»
«Lo so che non è cambiata, ma questo interrogatorio è per
convincere te, non per dare indicazioni a me. Nessun cambiamento
quindi: non ha proliferato, non si è estesa, non è dolente né
purulenta, non ha screpolato la pelle; non dà prurito, non spurga.