Il Forte sul Fiume

Tressa s'incupì immediatamente. «Come sarebbe, "perso tempo"?»
«Esitando. Cercando di evitare l'inevitabile. In realtà è tempo che
io me ne vada, che noi ce ne andiamo, voglio dire. Che torniamo a
Camelot. Anzi, è passato. Ehi!»
Si era sottratta al mio abbraccio repentinamente, il corpo rigido di
ansia e risentimento. Rimasi lì, sbattendo gli occhi, consapevole che
era addolorata e arrabbiata, ma incapace di comprenderne il perché.
Poi, essendo un uomo, feci la domanda che fanno gli uomini.
«Cosa c'è che non va, Tressa?»
«Niente». Il gelo nella sua voce avrebbe rovinato la frutta sugli
alberi.
Sentii la rabbia montarmi in petto. «Ma è ridicolo! C'è qualcosa di
così grave che a guardarti non si sa nemmeno se sopravviverai, e che
io sia dannato se so che cos'è! Cos'ho detto per provocare una simile
reazione? Ho detto che ce ne andiamo, tutto qui.»
Mi lanciò un'occhiata obliqua e infuocata e quando parlò, per la
prima volta da anni, udii nella sua voce acida e sarcastica l'accento
dei locali. «Tutto qui? Tutto qui? Dopo cinque, quasi sei anni, decidi
di andartene e me lo fai sapere in quel modo, ed è tutto qui? Be',
scusami se l'ho presa troppo a cuore. Cercherò di controllarmi. Sono
certa, come si dice, che mancherai molto a tutti noi».
In un istante, come accecato da una luce, compresi il motivo della
sua rabbia. Con un passo fui di nuovo accanto a lei, le mani sulle sue
spalle. «Tressa, ho detto che ce ne andiamo. Noi. Tu e io. Noi
significava te per prima, e Artù, e poi tutti gli altri. Non mi interessa
tornare a Camelot senza te al mio fianco. Ho solo fatto l'errore di
dare per scontato che saresti partita con me, e così non te l'ho
chiesto prima. Verrai con me?»
Mi guardò, gli occhi grandi e due grosse lacrime che tremavano,
in bilico sulle ciglia. «Cosa?» chiese con voce incerta.
«Verrai a Camelot con me?»
«Sei sicuro di volermi, laggiù, in mezzo a tutta quella gente
importante?»
Risi. «Volerti? Ma sei impazzita? E poi cos'è questo delirio sulla