Il Forte sul Fiume

IV.
La pioggia, che era andata attenuandosi nel corso della mattinata,
cessò del tutto poco prima di mezzogiorno. Mi tirai indietro il
cappuccio e mi passai le dita tra i capelli, gustando l'aria fresca sulla
testa.
Vicino a me Shelagh, pensosa, si succhiava il labbro. I due uomini
che mi avevano aiutato aspettavano in silenzio ulteriori istruzioni.
«Non è qui» disse Shelagh.
«Come fai a saperlo?» le chiesi voltandomi verso di lei e
scuotendo la testa.
«Lo so.»
«Come, Shelagh? Come fai a saperlo, quando non lo so io stesso?
Non so neanche chi sto cercando. Sono sicuro solo di una cosa: non
sono in grado di identificarlo.»
Shelagh mi lanciò un'occhiata, senza aggiungere altro. Eravamo
nelle terme, vicino ai mucchi di cadaveri dei Figli di Condran, uccisi
negli scontri della notte precedente, ammassati l'uno sull'altro e
fradici di pioggia. Ero rimasto stranamente indifferente alla vista di
quella carneficina, perfino quando i corpi venivano rivoltati a faccia
in su per darci la possibilità di riconoscerli. La pioggia, alla quale
erano rimasti esposti per ore, aveva tolto a quei visi ogni espressione
di umanità, lasciandoli cerei e pallidi dopo avere lavato via i grumi
di sangue rappreso.
I caduti di Ravenglass e di Connor - non c'erano stati morti tra gli
uomini di Camelot, e per questo ringraziavo Dio – erano stati portati
in un rifugio dietro le terme. I corpi, coperti di sangue, suscitavano
maggiore pietà.
Avevo esaminato ogni cadavere e avevo contato - perdendo
talvolta il conteggio - tra i centocinquanta e i centosessanta morti. I
primi ventisei erano stati uccisi da noi all'inizio dell'attacco. Non
pensavo che vi avrei trovato l'uomo dalla tunica gialla, ma sapevo di