Il Forte sul Fiume

V.
Mi parve che quella notte, subito dopo essermi addormentato,
qualcuno mi svegliasse con uno scossone. Mancava un'ora al sorgere
dell'alba, ed ero atteso sulle mura dove già da tempo fervevano i
preparativi.
Esitai a indossare la corazza, ancora con il resto dei bagagli. Sulla
nave avevo portato la veste di cuoio, che alla fine decisi di mettere,
restando però a capo scoperto. Non avrei corso grandi rischi sulla
cinta e non credevo che sarebbe stato di giovamento tradire la mia
presenza con un elmo di foggia romana.
Mentre salivo sul passaggio delle mura, osservai il bagliore giallo
delle torce nella nebbia del mattino. Prima di mettermi alla ricerca di
Derek e Longino, mi fermai a guardare il mare. Non si scorgeva
niente nella baia e neppure nel cielo; le mura sembravano avvolte
nel sudario di una fitta nebbia che ondeggiava in banchi densi
quando passava qualcuno. A fatica distinguevo le sagome delle
grandi catapulte che, a destra e a sinistra, distavano meno di
venticinque passi da me. Non c'era modo di capire se la flotta di
Condran si stava approssimando, ma sapevo che nessuna
imbarcazione, tanto meno un'intera formazione navale, avrebbe
osato avvicinarsi alla costa con quella nebbia. Se loro erano nascosti
a noi, anche noi eravamo invisibili a loro.
Trovai Derek e Longino con un capannello di altri uomini
assiepati intorno alla più grande delle due baliste, intenti a
controllare l'attacco di una pesante griglia di metallo a maglie sottili
sul braccio di caricamento in legno posto quasi all'estremità
dell'argano tenditore. Un paranco fornito di carrucola stava vicino al
cavo che scendeva fino al sottostante cortile. Mi sporsi per guardare
in basso le fiamme che avvampavano nella fornace di mattoni.
Longino, che mi aveva visto arrivare, mi fece un cenno di saluto con
la testa.
«Carboni ardenti?» gli chiesi.