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L a c o l l e z i o n e e p i g r a f i c a d e l M u s e o C ... - E-thesis

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14 Kalle Korhonen<br />

l'unica epigrafe segnalata da Amico nel convento vecchio (16 = CIL X 7019) veniva, secondo<br />

Pantò, conservata nel nuovo Palazzo municipale; è finita più tardi nel Museo Biscari (vd.<br />

sotto, p. 17). Visto che le notizie di Pantò dovrebbero riflettere la situazione anteriore al 1740,<br />

non posteriore, è possibile che Amico non abbia aggiornato l'informazione sul luogo di<br />

conservazione dell'epigrafe. Delle cinque iscrizioni conservate nel convento di S. Caterina,<br />

tutte provenienti dagli scavi delle fondazioni della medesima chiesa, tre furono più tardi<br />

accolte nel Museo dei Benedettini (51, 86, 173 = CIL X 7046, 7066 e IG XIV 524), e due sono<br />

state perdute (CIL X 7098 e IG XIV 543 a). Secondo lo storico ottocentesco Francesco Ferrara,<br />

una parte dei materiali trovati negli scavi della chiesa sarebbe andata a finire nel Museo<br />

Biscari, ma apparentemente nessuna iscrizione. 34 Non sappiamo, in effetti, quando le<br />

iscrizioni arrivarono nel convento dei Benedettini: risalgono a Mommsen le segnalazioni più<br />

antiche nel museo dei n.ri 51 e 86. La prima epigrafe era stata segnalata nel 1755 nella raccolta<br />

del canonico F. Zappali.<br />

Nella collezione dei Benedettini confluirono anche le iscrizioni della collezione di<br />

Pietro Tedeschi, barone di Villermosa. Comprendeva almeno 138 (CIL X 7096) e<br />

probabilmente anche 116 (IG XIV 496), scoperta durante la costruzione di un palazzo del<br />

barone. È problematica la vicenda di 66 (CIL X 7056), trovata insieme con 138 a Piazza<br />

Stesicoro: secondo Pantò, anch'essa veniva conservata da Villermosa, ma secondo Amico (e<br />

Ferrara) apparteneva a Innocenzo Roccaforte (vd. anche sotto). In ogni caso, 66 viene<br />

segnalata nella collezione dei Benedettini già a partire da Torremuzza, mentre il destino di<br />

116 e 138 è ignoto prima di Mommsen e Kaibel, che videro le epigrafi dai Benedettini.<br />

Contemporaneamente a Villermosa alcune iscrizioni erano state raccolte da Innocenzo<br />

Roccaforte, di origine palermitana, diventato canonico della Cattedrale di Catania.<br />

Conosciamo la collezione soltanto in base alle indicazioni di Amico. Alcuni frammenti di 11<br />

(IG XIV 455) e l'epigrafe nr. 113 (CIL X 7079) appartennero per qualche tempo a Roccaforte.<br />

Tutti i frammenti di 11 furono poi raccolti nel Museo Biscari. L'epigrafe al nr. 113, non trovata<br />

da Mommsen, è stata ritrovata nel Museo Civico durante la nostra schedatura del materiale;<br />

in base all'Inventario, poteva provenire dalla collezione dei Benedettini. Come dico nel<br />

paragrafo precedente, anche 66 (CIL X 7056) poteva appartenere alla raccolta Roccaforte, ma<br />

le testimonianze su essa sono contradittorie. Anche l'epigrafe al nr. 187 (IG XIV 536) che,<br />

peraltro, ha richiamato l'attenzione di molti studiosi nel Settecento, poteva appartenere alla<br />

collezione Roccaforte, visto che quest'ultimo mandò la scheda a Mongitore. Grazie ad un<br />

viaggiatore inglese poco conosciuto di nome Thomas Blackburne, sappiamo che è finita nella<br />

collezione dei Benedettini. 35 Le iscrizioni delle collezioni minori finite nel Museo Biscari<br />

saranno discusse sotto.<br />

Tra i collezionisti segnalati nella tavola 1 troviamo anche Giovanni Amico e Statella,<br />

che secondo il fratello Vito Maria possedeva l'iscrizione nr. 178 = IG XIV 540, scoperta nel<br />

34 Ferrara 1829, 370: [degli oggetti] "ne ebbero parte i benedettini, e parte i monaci di s. Domenico che cedettero<br />

poi al principe di Biscari". Alla bibliografia di IG XIV 543a c'è da aggiungere Ferrara 1829, 369 nr. 2.<br />

35 Si tratta di un codice visto da M. N. Tod nella collezione di C. T. Onions a Oxford, con "Inscriptions collected by<br />

Tho(ma)s Blackburne Esq(ui)r(e)" raccolte durante un viaggio negli anni 1748 e 1749 (vd. Tod 1928). L'epigrafe<br />

viene segnalata nel f. 10 (vd. Tod 1928, 3). Uno studio più approfondito del codice, se reperibile, sarebbe necessario<br />

per le nostre conoscenze sulle collezioni catanesi in questo periodo. Sembra, purtroppo, che il manoscritto sia<br />

finito nella National Library of Australia, vd. P. Haddad, "The National Library of Australia's Rare Book and<br />

Manuscripts Collections, with special reference to the Asia-Pacific region. Abstract", 65th IFLA Council and<br />

General Conference, Bangkok 1999 (http://www.ifla.org/IV/ifla65/papers/142-130e.htm).

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