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L a c o l l e z i o n e e p i g r a f i c a d e l M u s e o C ... - E-thesis

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34 Kalle Korhonen<br />

copie. 104 Come ho detto sopra (p. 33), sembra che almeno nella fase iniziale dell'importazione<br />

Amico non sapesse distinguere le copie dalle autentiche. Comunque, come apparirà nella<br />

discussione della silloge di Torremuzza (pp. 46-47), Amico spedì a quest'ultimo la maggioranza<br />

delle iscrizioni autentiche, ma soltanto una piccola parte delle copie. Quindi, evidentemente<br />

più tardi Amico sapeva – almeno in principio – distinguere le copie dalle autentiche.<br />

Visto che almeno le copie esistenti nelle collezioni catanesi furono confezionate da<br />

pochi lapicidi (vd. sopra, p. 30), la produzione sembra collocabile in un breve arco di tempo,<br />

probabilmente una decina di anni, al massimo un ventennio. 105 Sappiamo che gli archetipi<br />

delle copie 369-370 e 373-374, CIL VI 402 e 506, furono scoperte nel dicembre del 1745; l'anno<br />

1746 viene menzionato molte volte nelle note di Scammacca nel codice Marucelliano A 77 (vd.<br />

p. 19), anche se il suo significato è incerto. Ma non abbiamo date di ritrovamento posteriori al<br />

1745 per gli archetipi. I lapicidi responsabili della produzione vera e propria potrebbero<br />

essere quelli frequentati da Galletti e segnalati nel Diario, come ha pensato anche<br />

Billanovich. 106 Ad esempio, un lapicida gli vendette l'iscrizione autentica 317 = CIL VI 24403:<br />

svolgeva la sua attività presso S. Angelo in Pescheria. 107 Nel Diario si accenna a due altri<br />

lapicidi, "scarpellino non molto lungi dalla Fontana di Ponte Sisto", e "scarpellino di Campo<br />

Vaccino". 108<br />

Adesso si deve discutere la provenienza delle iscrizioni che furono riprodotte nelle<br />

copie "gallettiane". Più importanti dei luoghi di ritrovamento, che non sono molto rilevanti in<br />

questo contesto, sono le collezioni a cui appartenevano. 109 Per quanto riguarda gli archetipi<br />

pagani delle copie nel Museo Civico, secondo i miei calcoli, 64 erano stati accolti nei Musei<br />

Capitolini nel Settecento. 110 Di essi, quasi la metà erano stati segnalati nell'importante<br />

collezione di Francesco Ficoroni (1664–1747), confluita nei Musei Capitolini alla metà del<br />

Settecento, 111 e una decina nella collezione del cardinale Alessandro Albani. Visto che la<br />

collezione di A. Albani era stata acquisita e inaugurata come il nuovo Museo Capitolino nel<br />

1734, è verosimile che almeno gli archetipi provenienti da questa collezione furono schedati<br />

nel Museo Capitolino. Un'altra collezione importante fu quella conservata nella Villa Altieri,<br />

dove vi erano quasi una ventina di archetipi delle copie finite a Catania. In questo numero<br />

sono stati inclusi anche gli archetipi appartenuti nel Seicento alla collezione Mazzanti, ma di<br />

cui non ci sono notizie posteriori: è, in effetti, verosimile che tali archetipi siano poi passati<br />

alla collezione Altieri, dove furono schedati durante la produzione delle copie.<br />

Per quel che concerne le epigrafi cristiane, è notevole che la maggioranza degli<br />

archetipi siano stati visti nella basilica di S. Maria in Trastevere nel Settecento e/o<br />

nell'Ottocento, dove alcuni si conservano ancora; nella stessa chiesa si conservavano anche<br />

alcuni degli originali pagani. Delle altre collezioni degli archetipi pagani e cristiani, si<br />

possono segnalare il monastero di S. Paolo fuori le mura, il convento di Scammacca (sei<br />

104 Billanovich 1967, 64.<br />

105 Cfr. Billanovich, cit. 103.<br />

106 Billanovich, cit. 104-5.<br />

107 P. 4 del Cod. S. Paolo. Nel Diario, lo stesso scalpellino viene segnalato anche nelle pp. 33 e 40 del codice di S.<br />

Paolo.<br />

108 Diario (Cod. S. Paolo) pp. 22 e 74; p. 36.<br />

109 Cfr. Billanovich 1967, 87-91.<br />

110 Tutti vengono segnalati, secondo le notizie del CIL VI, da Guasco (1775).<br />

111 Vd. ad es. M. Mattei, MGR 17 (1992) 201.

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