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L a c o l l e z i o n e e p i g r a f i c a d e l M u s e o C ... - E-thesis

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30 Kalle Korhonen<br />

venivano separate dalle iscrizioni autentiche, hanno reso più difficile lo studio dell'epigrafia<br />

fino all'epoca di Mommsen e gli altri editori del CIL, che hanno potuto separare le copie dalle<br />

autentiche. Tuttavia alcune di esse hanno fatto un'apparizione ancora negli studi del<br />

Novecento. Dobbiamo la discussione fondamentale sulle copie a Maria Pia Billanovich (1967).<br />

Nella produzione delle copie "gallettiane" si utilizzavano soprattutto due tipi di<br />

supporto: lastre di marmo e mattoni di terracotta. Molte lastre sono evidentemente di fattura<br />

antica, per la maggior parte lastre di rivestimento. Troviamo anche una lastra centinata,<br />

apparentemente antica, con acroteri e cornici modanate (371); cornici modanate sono presenti<br />

anche in 418 e sul retro di 384, 434 e 505). Le lastre furono lavorate in modo superficiale; non<br />

si trattava di una levigatura accurata. Perciò molte delle lastre non sono rettangolari, ma<br />

soltanto le irregolarità più notevoli sono state tolte. I mattoni erano probabilmente<br />

settecenteschi piuttosto che antichi, ma c'è almeno un'eccezione, il nr. 525, che contiene un<br />

bollo laterizio antico.<br />

Come supporto potevano essere usati addirittura frammenti di iscrizioni antiche<br />

(250–255); in un caso (252), l'iscrizione evidentemente già frammentaria fu spezzata in due<br />

parti, nelle quali furono incise le copie (422 e 424). Viene in questo modo confermato quanto<br />

scrive Galletti nell'introduzione del suo Diario lapidario (Cod. S. Paolo, f. 4r): "Gli scarpellini<br />

poi comprandole [= le iscrizioni] per gli usi del lor mestiere ... ne riducono in pezzi<br />

moltissime e qualcuno di essi mi ha confessato che è quasi infinito il numero delle iscrizzioni<br />

che capitate gli sono da che esercita quell'arte, e molte e molte egli tosto che sono state scavate<br />

le ha adoprate; sicche è certissimo che di quelle non è rimasta alcuna memoria." Qui si può<br />

segnalare anche un'altra copia delle collezioni catanesi, incisa accanto ad un disegno<br />

paleocristiano (472).<br />

Per quel che concerne il mestiere di lapicida, lo studio è stato facilitato dalle fotografie<br />

di tutto il materiale eseguite da chi scrive. Già la Billanovich ha presentato tipologie<br />

paleografiche delle copie da lei studiate, segnalando anche alcune caratteristiche del tipo che<br />

io ho preferito chiamare la "mano A" (vd. sotto). Questo tipo è presente anche nelle copie<br />

"gallettiane" conservate a Ravenna, mentre la paleografia è diversa nelle copie di<br />

Fossombrone, provenienti dalla collezione Benedetto Passionei. 92 Credo che nello studio<br />

delle copie catanesi sia possibile distinguere il lavoro di due mani, che ho nominato "mano A"<br />

e "mano B" (vd. fig. 1). Con la mano A sono state incise le iscrizioni più monumentali; il<br />

supporto è quasi sempre marmo. Le lettere sono in genere più profonde e più grandi della<br />

mano B, quasi sempre con le apicature (le eccezioni vengono indicate nell'edizione). Le lettere<br />

più facilmente riconoscibili sono la C, la M e soprattutto la L, nella quale il braccio è inclinato<br />

in basso, spesso notevolmente. La S è abbastanza grossa. Caratteristica è anche la forma della<br />

foglia di edera, che sembra quasi un peperoncino.<br />

Le iscrizioni incise con la mano B sono generalmente più brevi; la scrittura sembra più<br />

frettolosa. Delle copie incise su mattoni, la maggioranza appartengono alla produzione della<br />

mano B. Le lettere sono generalmente più inclinate e più piccole che nella mano A. Sono quasi<br />

sempre senza apicature (le eccezioni vengono indicate). Sembra che il lapicida abbia avuto dei<br />

problemi con la B e la N, visto che la parte inferiore della B è spesso piccola e irregolare, e che<br />

sopra, p. 26; Fossombrone: vd. Billanovich 1967, 42-58; Musei Vaticani, Bologna, Firenze: vd. i n.ri 379, 430, 440,<br />

443, 474, 505.<br />

92 Vd. Billanovich 1967, 33-34, e le sue fotografie, tavv. V-VI (Fossombrone) e tavv. VII-VIII (Catania).

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