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Parte prima - only fantasy

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mio padre. Mi ero sentita a casa. Mohdi mi aveva ascoltata attento,<br />

seguendo con lo sguardo concentrato il mio discorso, lasciando che<br />

piangessi e mi sfogassi. Poi, con un sorriso, mi aveva condotta verso<br />

la radura. E lì, praticando alcuni esercizi di meditazione sotto la sua<br />

guida, avevo compreso per la <strong>prima</strong> volta di non essere uguale agli<br />

altri esseri umani. All’inizio, dopo le prime ore di preparazione, non<br />

era successo niente. Poi una foglia di felce caduta nel sottobosco impercettibilmente<br />

si era mossa. Spostata, non dal vento o da qualche<br />

animale. Mi erano venute le vertigini per lo sforzo inconsapevole e<br />

per la sorpresa. La capacità di spostare gli oggetti era il primo potere<br />

che le Predestinate manifestavano una volta iniziato il percorso. Per<br />

qualcuna, di rado, accadeva naturalmente già nei primi anni<br />

dell’infanzia, per tutte le altre comportava uno sforzo preciso. Come<br />

quello che avevo fatto io, ancora senza rendermene conto.<br />

Mohdi era fiero di me. Ma io mi sentivo un mostro, una macchina<br />

per combattere una guerra che non avrebbe mai avuto fine.<br />

Ora me ne stavo davanti alla maledetta porta dell’aula, a pochi<br />

passi da Jon. Mi dissi che se avessi voluto, se mi fossi concentrata al<br />

massimo, avrei potuto benissimo sollevarlo con la mia energia mentale<br />

e scaraventarlo in chissà quale angolo della stanza. Ma non era<br />

l’idea migliore, considerando che ci trovavamo nel mezzo del corridoio<br />

di un liceo. Così, strinsi i denti e, cercando di ignorarlo, gli passai<br />

accanto guardando altrove.<br />

Fatica inutile. In un attimo mi fu vicino.<br />

«Buongiorno, signorina De Giacomo», mi salutò con la solita gentilezza<br />

velata di ironia.<br />

«Gira alla larga», ringhiai lanciandogli un’occhiata obliqua.<br />

Lui non si scompose e continuò con il suo stupido tono scherzoso.<br />

«Nervosetta, stamattina?»<br />

Mi voltai verso di lui guardandolo con odio. «Forse non ti conviene<br />

stare in mia compagnia, sai», lo misi in guardia.<br />

«Perché?» chiese con aria da finto tonto alzando il sopracciglio<br />

destro.<br />

Sbuffai, incurante degli studenti che ci passavano accanto indirizzandoci<br />

sguardi curiosi. «Perché è inutile continuare a giocare. Io so<br />

cosa sei.»

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