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«UNIVERSITÀ». RI-CAPITOLARE - 1997 - Società Amici del Pensiero

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«Università». Ri-capitolare<br />

<strong>del</strong>la morale ha trattato, esposto, scritto e argomentato con il<br />

massimo di rigore, coerenza e consequenzialità, offrendone una<br />

edizione esemplare.<br />

Quanto detto è sufficiente per riconoscere come nel moralismo<br />

la «banalizzazione», che in quanto inclusiva di un tratto di<br />

perversione è sempre direttamente o indirettamente ostile alla<br />

competenza <strong>del</strong> soggetto e al pensiero di natura, operi nei riguardi<br />

<strong>del</strong>l’esperienza <strong>del</strong>le relazioni <strong>del</strong>l’uomo secondo due indirizzi. Da<br />

un lato le trasporta, dando a credere di elevarle, assegnandole alla<br />

disciplina dei valori, dei principi inviolabili, <strong>del</strong>le sacre leggi<br />

<strong>del</strong>l’etica, <strong>del</strong>la maestà degli imperativi categorici o <strong>del</strong> santuario<br />

<strong>del</strong>la coscienza; dall’altro le relega – insieme con la questione<br />

<strong>del</strong>la soddisfazione, <strong>del</strong> beneficio – con il campo dei moti <strong>del</strong><br />

corpo umano, in uno spazio secondario, ristretto, residuato. Questa<br />

residualità può giungere fino a una tolleranza stentata come negli<br />

accenti stigmatizzanti <strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong> tradizionalismo moralistico<br />

che giudica la cura soggettiva individuale per la soddisfazione, per<br />

l’accadere <strong>del</strong> beneficio, come egoismo, grettezza, ottusa<br />

privatezza. Nella ristrettezza e secondarietà in cui nel moralismo<br />

viene relegato il moto <strong>del</strong> corpo per la soddisfazione, si palesano<br />

da un lato il diniego <strong>del</strong>l’universalità <strong>del</strong>la competenza normativa<br />

<strong>del</strong> soggetto e <strong>del</strong> suo valere come istituente l’universo stesso,<br />

dall’altro appare il disconoscimento <strong>del</strong> fatto che ciò che si chiama<br />

«senso» appartiene al corpo pensante il proprio moto in quanto<br />

moto che si articola nei termini di eccitamento, soddisfazione e<br />

godimento e che proprio in questo senso la parola «senso» prende<br />

significato. Nel moralismo il senso è altrove: è il senso <strong>del</strong>la<br />

volontà volontaristica che vuole la propria conformità al<br />

firmamento degli imperativi etici. Tutto il resto è accessorio.<br />

Nella misura in cui l’espressione «senso <strong>del</strong>la vita» è<br />

compromessa – e solitamente lo è – con un significato<br />

esistenzialistico <strong>del</strong>la parola «senso», essa è già un’insegna e un<br />

vettore <strong>del</strong> moralismo. Il moralismo è ubiquitario e variamente<br />

rappresentato nella psicopatologia, clinica e non-clinica, così come

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