L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
92<br />
L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />
Con l’arrivo delle grandi marche mondiali si è sviluppata la produzione di elettrodomestici,<br />
mentre il settore elettronico stenta a decollare, perché la sua produzione<br />
di massa standardizzata è incapace di far fronte alla “concorrenza cinese, ben inserita<br />
nel circuito integrato asiatico che parte dal Giappone e passa per la Corea e<br />
Singapore”. La concorrenza cinese è molto forte anche nel tessile e<br />
nell’abbi<strong>gli</strong>amento, settore che è ancora al primo posto, con quasi il 14% <strong>della</strong> produzione<br />
manifatturiera, il 4% del PIL e soprattutto 35 milioni di posti di lavoro –<br />
quasi tutti occupati da appartenenti alle SC e ST – e rappresenta un terzo delle esportazioni<br />
del paese, per il quale, insieme ai servizi informatici, è la principale fonte di<br />
divise estere (Boillot, 2007: 66-67). Un settore che almeno fino al 2004 era ostacolato<br />
da un pesante sistema regolatore, lentezze doganali, gravoso trattamento fiscale,<br />
povere infrastrutture e scarsità di terreni urbani dove costruire le fabbriche (TE,<br />
2004). Come spiega Spagnoli (2009: 379-81), l’industria tessile comprende (i) cotone<br />
e fibre chimiche: comparto “più strutturato in termini di impiego (un milione di<br />
lavoratori) e numero di unità”; (ii) seta, di cui il paese è il secondo produttore al<br />
mondo con quasi un quinto dell’offerta mondiale; (iii) tessitura a mano: che impegna<br />
circa 6,5 milioni di persone, di cui quasi la metà donne e il 40% di esse appartenenti<br />
alle SC e ST. L’India occupa il 4% del mercato mondiale del tessile e il 3% di quello<br />
dell’abbi<strong>gli</strong>amento di cui <strong>gli</strong> USA sono il maggiore acquirente.<br />
Oltre che da una modesta crescita, l’industria indiana è caratterizzata da<br />
un’estrema concentrazione geografica, con la regione occidentale in posizione dominante<br />
e crescente. Secondo Chandrasekhar (2011: 5), la quota di Maharashtra e<br />
Gujarat, con una popolazione che non supera il 14% di quella totale, nel valore aggiunto<br />
complessivo del settore industriale era pari al 37% nel 2005-08, mentre la<br />
quota del Bengala occidentale era precipitata al solo 3%.<br />
Nonostante sia stata oggetto principale di molte riforme, la crescita dell’industria<br />
– 6,8% nel 1981-91 e 6,45% nel 1991-2001 – non ha registrato un’accelerazione,<br />
anche se ne<strong>gli</strong> ultimi anni sembra in via di mi<strong>gli</strong>oramento. Questo settore risente negativamente<br />
<strong>della</strong> permanenza di un mercato del lavoro scarsamente riformato e<br />
dall’eccessiva attenzione rivolta alle piccole imprese, una situazione che spesso continua<br />
a rappresentare un ostacolo alla delocalizzazione da parte di imprese straniere.<br />
Inoltre, Panagariya (2008: 259 e 282-83) sostiene che la maggiore difficoltà<br />
dell’economia indiana è dovuta al fatto che il manifatturiero non è riuscito a sviluppare<br />
un ampio settore ad alta intensità di lavoro non specializzato, un settore cioè<br />
che sfruttasse appieno il vantaggio comparato del paese – vedi anche 1.1.5. Se la<br />
crescita è il più importante strumento per la riduzione <strong>della</strong> povertà, il numero di poveri<br />
che mi<strong>gli</strong>orano il proprio benessere dipende dal tipo di crescita. Per questo, è<br />
probabile che l’espansione dei settori a forte intensità di lavoro non qualificato riduca<br />
il numero di poveri più rapidamente che la crescita dei settori ad alta intensità di<br />
capitale e lavoro specializzato.<br />
Avendo fin dall’inizio scelto l’indipendenza dai mercati internazionali, l’India ha<br />
dovuto promuovere l’industria pesante e quindi favorire le imprese ad alta intensità<br />
di capitale a scapito di quelle ad alta intensità di lavoro, una tendenza che le riforme<br />
non sono ancora riuscite a invertire. Ma anche i servizi informatici, che sono cresciuti<br />
tanto rapidamente, hanno assorbito poca manodopera. In effetti, nonostante la<br />
notevole riduzione <strong>della</strong> quota <strong>della</strong> produzione agricola sul PIL (da 59% nel 1950-<br />
52 al 17,8% nel 2006-08), quella dell’industria, nello stesso periodo che precede<br />
l’inizio <strong>della</strong> riforma liberista, è aumentata da 13,4% a 26,4% per poi stabilizzarsi<br />
attorno al 24-25% (secondo Rajan e Rongola, ristagna da tempo sul 17% circa). Ciò