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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />

investimenti e l’interdipendenza economica e non più il colonialismo e la discriminazione<br />

razziale che dominarono il NAM.<br />

Per quanto concerne la global governance, ovvero il disegno di istituzioni che<br />

autorevolmente gestiscono e regolano azioni, processi e problemi di risonanza o effetto<br />

globale, molti reputano necessario che essa cominci a manifestarsi nelle attività<br />

di varie organizzazioni internazionali e di gruppi attivi nella società civile. Se, quindi,<br />

per la “Commission on Global Governance” questo è “un processo continuo per<br />

mezzo del quale interessi diversi e in conflitto possono essere risolti e azioni cooperative<br />

intraprese”, per il FMI e la BM la governance globale è essenzialmente “good<br />

governance”, cioè si riferisce a un particolare ordine politico ed economico caratterizzato<br />

da democrazia, trasparenza e libero mercato ed è spesso associata a riduzione<br />

<strong>della</strong> spesa pubblica e del welfare e a crescita guidata dalle esportazioni, liberalizzazione,<br />

privatizzazione e deregolamentazione.<br />

La governance globale è necessaria perché <strong>gli</strong> stati nazionali da soli non possono<br />

gestire questioni globali e, quindi, le organizzazioni internazionali governative (IGO) e<br />

non (NGO) e le imprese multinazionali devono assumere ruoli decisivi nello sviluppo<br />

di approcci cooperativi internazionali a sfide transnazionali che hanno impatto sui singoli<br />

stati. Questo tentativo di regolare e mo<strong>della</strong>re il processo di globalizzazione, richiede<br />

l’accettazione e il rafforzamento dell’interdipendenza tra paesi e, quindi, una<br />

graduale rinuncia alla sovranità nazionale 11 . In realtà, il problema maggiore non è dato<br />

dalla globalizzazione stessa, ma dal modo in cui essa è governata, il che, a giudizio di<br />

Sti<strong>gli</strong>tz, mostra che parte del problema resta con le istituzioni economiche internazionali,<br />

quali IMF, BM e OMC, che poi sono quelle che stringono i cordoni <strong>della</strong> borsa e<br />

che finora hanno spesso fatto <strong>gli</strong> interessi dei paesi sviluppati piuttosto che dei PVS, a<br />

renderla più o meno accettabile. Per esprimere tutto il suo potenziale, la globalizzazione<br />

deve, quindi, essere rimo<strong>della</strong>ta, riformata. Questo richiede un esame de<strong>gli</strong> interessi,<br />

più forti istituzioni pubbliche internazionali che si concentrino sulle questioni di<br />

azione collettiva, trasparenza del processo decisionale e, infine, una riforma generale.<br />

Ma il cambiamento più fondamentale e cruciale perché la globalizzazione diventi una<br />

forza utile e positiva è proprio quello <strong>della</strong> governance.<br />

India e Cina sono ormai attori importanti <strong>della</strong> governance globale, e alterano in<br />

modo decisivo il disegno base <strong>della</strong> politica e dell’economia mondiale e con esso la<br />

relazione tra paesi industriali e PVS, una nuova costellazione di potere. La Cina e<br />

l’India sono, quindi, non solo economie emergenti (come Corea del Sud, Taiwan,<br />

Singapore, Thailandia e <strong>altri</strong> prima di loro), ma sono anche i “motori del cambia-<br />

11 Secondo Dellios (2010: 104-05), l’ascesa di stati non occidentali in un ordine mondiale<br />

di derivazione occidentale porterà nuovi concetti organizzativi <strong>della</strong> governance globale,<br />

un fenomeno che essendo nella sua fase iniziale dovrebbe essere fluido e, quindi, più facilmente<br />

malleabile. Poiché l’India e la Cina sono i due paesi più popolosi al mondo e<br />

hanno una considerevole crescita, “è importante identificare le loro basi concettuali per<br />

ipotizzare fome e strutture <strong>della</strong> governance. L’importanza che la Cina assegna alla politica<br />

estera di un mondo armonioso si rifà ad un originario regionalismo indico dell’Asia<br />

sudorientale, dalla Cina condiviso tramite il suo tradizionale ordine mondiale basato sul<br />

sistema del tributo e dello scambio”. Incorporare concetti orientali avvantaggerebbe<br />

l’adattamento alle nuove condizioni del ri<strong>equilibri</strong>o tra Oriente e Occidente. Naturalmente<br />

lo scenario positivo sarebbe più difficile, o praticamente impossibile, da realizzare se la<br />

leadership cinese diventasse più nazionalista invece che internazionalista o, opzione meno<br />

studiata, se un simile processo avesse luogo in India.

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