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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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La “grande Potenza povera”<br />

zanti più bassi di tutti. Inoltre, “la cultura <strong>della</strong> proliferazione dei sussidi non solo sta<br />

riducendo <strong>gli</strong> investimenti pubblici destinati veramente all’agricoltura, ma sta anche<br />

distorcendo i modelli di coltivazione (cropping), causando così tensioni ambientali”.<br />

S’impone, quindi, la riforma de<strong>gli</strong> incentivi agricoli per passare a un’agricoltura<br />

d’alto valore aggiunto, “che poi è quella che ha il potenziale di creare opportunità di<br />

lavoro nel campo e fuori”. Per questo, conclude Gutali (2010: 230-32 e 238-39)<br />

“l’importanza dello sviluppo agricolo non è ristretto al suo contributo al PIL, ma ha<br />

un notevole impatto nella riduzione <strong>della</strong> povertà”.<br />

Se poi si considera che, come giustamente sostiene Armellini (2008: 92), “una<br />

popolazione agricola condannata a un’esistenza di miseria senza speranza non potrà<br />

a lungo coesistere con una nazione industrialmente avanzata, a pena di creare squilibri<br />

impossibili da governare” che alla lunga potrebbero rendere precaria anche la<br />

sopravvivenza dello stesso sistema democratico del paese, si deve concludere che<br />

senza un maggiore sviluppo dell’agricoltura, e quindi senza la sua riforma, sembra<br />

impossibile ridurre sensibilmente il numero dei poveri rurali.<br />

1.1.3 Industria<br />

Il settore industriale indiano è poco specializzato e poco aperto, ma diversificato,<br />

e nella sua parte più moderna presenta un notevole valore aggiunto unitario che compensa<br />

<strong>gli</strong> svantaggi infrastrutturali che deve affrontare. Molte delle limitazioni di questo<br />

settore sono il retaggio delle scelte ideologiche fatte dopo l’indipendenza. Come<br />

per l’agricoltura, a metà de<strong>gli</strong> anni ’60 l’industria cominciò a mostrare gravi segnali di<br />

crisi, a causa dello scarso risparmio che riusciva a estrarre dal settore agricolo e dalla<br />

bassa domanda di beni di consumo di massa da parte delle fasce più povere e dei ricchi<br />

che preferivano beni di lusso prodotti con tecnologie estere o direttamente importati.<br />

Più che dal sistema di pianificazione, dalle siccità e da<strong>gli</strong> shock petroliferi, la paralisi<br />

economica che caratterizzò il periodo 1955-1980 – tasso medio di crescita 3,5% l’anno<br />

– derivò dalla natura delle relazioni di casta e di classe, che rappresentano un vero ostacolo<br />

allo sviluppo del paese. Inoltre, nella seconda metà de<strong>gli</strong> anni ’60 il modello<br />

economico indiano, che fino a quel momento aveva riscosso lodi e apprezzamenti positivi<br />

a livello internazionale, cominciò a destare preoccupazioni.<br />

Nel 1967 Indira Gandhi dovette svalutare la rupia sotto la pressione de<strong>gli</strong> USA e<br />

del FMI e ne<strong>gli</strong> anni seguenti l’India dovette ricorrere a<strong>gli</strong> aiuti alimentari americani,<br />

cosa che rappresentò una sconfitta simbolica per la swadeshi (autosufficienza o anche<br />

“autonomia economica dei villaggi” cara a Gandhi), chiave di volta <strong>della</strong> strategia economica<br />

di Nehru (Luce, 2010: 28 e 31). La Tabella 1.4 mostra, infatti, un settore industriale<br />

in ristagno, specialmente se paragonato all’esplosiva dinamicità dei servizi.<br />

Durante <strong>gli</strong> anni ’80 si cominciò a smantellare il sistema delle licenze, utilizzando<br />

anche alcuni ingredienti <strong>della</strong> ricetta neoliberista raccomandata dal FMI, al quale<br />

per la prima volta l’India aveva chiesto un prestito. Grazie all’espansione delle terre<br />

a irrigazione perenne, e dall’aumento <strong>della</strong> spesa del governo centrale e de<strong>gli</strong> stati, si<br />

ebbe una ripresa dell’agricoltura alla quale fece seguito quella dell’industria con un<br />

tasso di espansione vicino al 7%. Infatti, l’aumento sostanziale <strong>della</strong> spesa pubblica<br />

produsse un tasso medio di crescita del PIL del 5,5% l’anno. Quest’intervento mirava<br />

a evitare quei provvedimenti di riforma che avrebbero danneggiato i principali<br />

interessi de<strong>gli</strong> strati dominanti, malgrado che, così facendo, i problemi strutturali che<br />

ostacolavano lo sviluppo del paese continuassero a rimanere irrisolti. Anche la libe-<br />

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