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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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L’India e i suoi “vicini”<br />

* * *<br />

Dal 2008 la Cina è diventata il primo partner commerciale indiano, rimpiazzando<br />

<strong>gli</strong> USA. A causa <strong>della</strong> crisi mondiale alla fine del 2009 <strong>gli</strong> scambi bilaterali si ridussero<br />

a $43,3 miliardi, per poi tornare a crescere fino a $61,7 miliardi nel 2010.<br />

Poiché le esportazioni dell’India sono state pari a $20,9 miliardi contro importazioni<br />

per $40,9 miliardi, il notevole e crescente disavanzo commerciale sottolinea<br />

l’importanza che la Cina sta assumendo per l’India, situazione evidenziata anche dal<br />

fatto che mentre la quota dell’interscambio indo-cinese nel totale interscambio mondiale<br />

indiano è aumentata, quella dell’interscambio indo-americano s’è ridotta. Inoltre,<br />

nonostante che l’interscambio sino-indiano sia aumentato più del previsto, il suo<br />

potenziale di crescita è ancora molto più alto, come dimostrano i livelli di scambio<br />

che la Cina ha avuto nello stesso periodo con <strong>gli</strong> USA ($385 miliardi), col Giappone<br />

($297 miliardi), con la Corea del Sud ($207 miliardi), con Taiwan ($145 miliardi) e<br />

con Australia, Malaysia e Brasile. Per cui l’obiettivo dei $100 miliardi, scelto per<br />

essere raggiunto entro il 2015, sarebbe sempre al di sotto di quello potenziale.<br />

La struttura di questi scambi rappresenta, però, un problema per l’India, perché il<br />

70% delle sue esportazioni è costituito da materie prime, principalmente minerale<br />

ferroso, e di servizi (nei quali la Cina non resterà indietro per molto), mentre le sue<br />

importazioni sono essenzialmente manufatti, come macchine elettriche, apparecchiature<br />

domestiche, elettronica di consumo e beni meccanici. Proprio la presenza di<br />

tante materie prime nelle esportazioni rivela che quella indiana non è un’economia<br />

export-oriented.<br />

La difficoltà a esportare e il conseguente crescente disavanzo commerciale sono<br />

stati causa di continue frizioni tra i due paesi, perché l’India, sostenendo che quella<br />

cinese non è una vera economia di mercato e perciò può permettersi di operare con<br />

prezzi artificialmente bassi, ha continuato a imporre dazi sempre più alti sui prodotti<br />

cinesi, cosa che le norme d’ammissione <strong>della</strong> Cina all’OMC permettono fino al<br />

2016. Da parte sua la Cina considera discriminatorie le severe regole indiane relative<br />

al sourcing di attrezzature elettriche e di telecomunicazione. Quindi anche quando<br />

hanno un vantaggio comparato, le imprese indiane incontrano difficoltà a penetrare<br />

e a espandersi in Cina e quelle IT già presenti, incluse Infosys, Wipro e TCS, hanno<br />

dovuto battersi, quasi sempre con scarsi risultati, per ottenere contratti dalle imprese<br />

di proprietà statale (SOE). New Delhi, inoltre, considera la Cina una minaccia al<br />

proprio settore manifatturiero e infatti proprio le proiezioni del “National Security<br />

Council” indiano mostrano che nel 2014-15 più del 75% dei manufatti indiani dipenderanno<br />

dalle importazioni provenienti dalla Cina, cioè da inputs cinesi che ora<br />

rappresentano già il 26% (Badarinath, 2011). Anche se queste proiezioni dovessero<br />

risultare esagerate, resta la netta impressione che la Cina stia lentamente strangolando<br />

l’industria manifatturiera indiana per mezzo di importazioni a basso prezzo con<br />

le quali i produttori locali non riescono a competere.<br />

Oltre la reciproca diffidenza, l’evidente svantaggio competitivo indiano e il<br />

dumping sociale cinese spiegano le resistenze de<strong>gli</strong> industriali indiani a concludere<br />

l’ALS proposta dalla Cina e a cui, in linea di principio, entrambi i paesi sembrano<br />

interessati, ma che necessita di più tempo e molta gradualità. A ogni modo, l’ALS<br />

Cina-India “potrebbe rappresentare il più grande spazio economico del mondo” e nel<br />

futuro “drammaticamente mutare l’equazione del commercio mondiale fin qui dominato<br />

da Stati Uniti e Unione Europea” (Landi, 2007: 43).<br />

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