L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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Introduzione<br />
effetti, conclude Nilekani (2009: 280 e 282), “la politica indiana è rimasta straordinariamente<br />
concentrata su quali diritti economici la casta può assicurarti”.<br />
Le ragioni per il continuo progresso del processo riformista vanno, quindi, cercate<br />
nel mutato consenso sul governo dell’economia: da regime di controlli a regime di libertà,<br />
da pratiche restrittive e protezione ad apertura, concorrenza ed efficienza, da lotta<br />
per l’egua<strong>gli</strong>anza a lotta alla povertà. Solo che “non essendo sicuri <strong>della</strong> reazione<br />
dell’elettorato, i politici ebbero a lungo paura di annunciare apertamente la loro conversione…<br />
convinti che i partiti di opposizione avrebbero prontamente presentato ogni<br />
riduzione dei controlli come un favore fatto ai ricchi e alle grandi imprese”. Infatti,<br />
“l’ambiente intellettuale indiano in generale era ancora ostile alla liberalizzazione”,<br />
tanto che Manmohan Singh dovette presentare le sue proposte “con ripetuti riferimenti<br />
sia ai contributi di Nehru allo sviluppo che all’utilità delle precedenti politiche”, cioè<br />
dovette sostenere la continuità di quella che invece era una vera e propria rottura con il<br />
passato (Panagariya, 2008: 99 e nota 6 del Cap. 5). Per ridurre la forte opposizione<br />
pubblica, le prime privatizzazioni furono chiamate “disinvestimenti” e ancora oggi lo<br />
stato è presente non solo nei settori sociale e infrastrutturale, ma anche in quelli industriale,<br />
dei servizi e minerale, tanto che le Central Public Sector Enterprise (CPSE)<br />
rappresentano poco più dell’11% del PIL a prezzi di mercato nel 2005-06, senza contare<br />
ferrovie, servizio postale e radiodiffusione. Le CPSE producono acciaio, cemento,<br />
prodotti chimici, alcuni beni di capitale, elettricità e gas e operano nelle telecomunicazioni,<br />
nel turismo e nel magazzinaggio (Panagariya, 2008: 299).<br />
Adduci (2009: 80-81) fa notare, però, che il governo indiano, visto che il capitale<br />
privato era interessato solo alle imprese più redditizie, ha dovuto accettare una politica<br />
di deprezzamento delle attività pubbliche che intendeva privatizzare, per renderle<br />
competitive rispetto ai titoli di stato, per cui le imprese che sono state privatizzate<br />
erano proprio quelle che, come Bharat Petroleum e Hindustan Petroleum, trainavano<br />
il successo dell’intero settore pubblico, al quale sono restate invece le imprese a<br />
redditività scarsa o nulla. Inoltre, ci sono seri dubbi “sul presunto incremento di entrate<br />
che la dismissione <strong>della</strong> pubblica impresa avrebbe dovuto generare”.<br />
La diffusa presenza dello stato si riflette nelle dimensioni <strong>della</strong> sua burocrazia<br />
cresciuta, specialmente ne<strong>gli</strong> anni ’80, dai 15,5 milioni del 1981 ai 18,6 del 2003,<br />
così divisi: 17% governo centrale, 40% governi de<strong>gli</strong> stati, 32% organi quasi governativi<br />
e 12% organi locali. Sempre nel 2003, il settore “servizi di comunità, sociali e<br />
personali” assorbiva il maggior numero di impiegati, cioè il 52%, seguito a distanza<br />
da “trasporto, comunicazioni e magazzinaggio” con il 16%. Al centro di questa burocrazia<br />
si trova l’Indian Administrative Services (IAS), un’élite con il suo “virtuale<br />
monopolio sul potere”. Lo IAS ha certamente contribuito a mantenere unito un continente<br />
tanto eterogeneo, ma è anche un corpo altamente élitario, e inamovibile, che<br />
mal si combina con la democrazia ed è spesso in rotta con i politici. Il livello dei<br />
salari dei dipendenti pubblici è superiore a quello de<strong>gli</strong> impiegati del settore privato,<br />
benché esistano forti dubbi che la produttività dei primi sia superiore a quella dei<br />
secondi, una disugua<strong>gli</strong>anza che offre ai sindaci di questi ultimi un buon argomento<br />
per chiedere aumenti. Le pensioni e i vari benefici connessi al pensionamento rappresentano,<br />
inoltre, l’1,7% del GDP del 2005-06 (Panagariya, 2008: 356 Tab. 16.1,<br />
366). Ma quello che distingue maggiormente la burocrazia indiana è la sua profonda<br />
e onnipresente corruzione.<br />
Ne<strong>gli</strong> anni successive all’indipendenza l’India “reinventata” (Reinventing India è<br />
il titolo del libro di S. Corbridge e J. Harriss del 2000) si presentò come un paese<br />
“moderno”, cioè come una repubblica federale, democratica, laica, ideologicamente<br />
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