L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />
quest’attività un modo per riciclare soldi in nero e fare lauti guadagni. In verità,<br />
l’industria è riuscita a crearsi fonti di finanziamento tramite il merchandising, il<br />
multiplex e “il giusto mix di affiancamento di brand e la loro identificazione con i<br />
contenuti <strong>della</strong> trama”, così che dal 2001 sono cominciati ad affluire sempre più i<br />
crediti bancari (Gruppioni, 2009: 344-45 e 248). Con una produzione annuale di circa<br />
1.000 film a un costo medio di circa $10 milioni, il giro d’affari del settore supera<br />
i $10 miliardi l’anno, pari a quello <strong>della</strong> televisione. Il cinema di Bombay registra<br />
una crescita economica media del 12,6% contro il 5,6% <strong>della</strong> controparte americana.<br />
Inoltre, i bassi costi di produzione spiegano perché molti produttori occidentali impieghino<br />
personale indiano, location e musiche bollywoodiane.<br />
Nonostante Bollywood non riesca a superare Hollywood a livello globale a causa<br />
delle difficoltà di esportazione di alcuni contenuti culturali locali, non sfugge ai finanziatori<br />
e alla stessa rivale americana l’enorme potenzialità di espansione economica di<br />
un sistema di produzione che vanta un’utenza di oltre un miliardo di persone.<br />
1.1.5 Commercio internazionale e flussi di capitale<br />
La politica autarchica adottata dall’India dopo l’indipendenza, specialmente dopo<br />
la crisi <strong>della</strong> bilancia dei pagamenti del 1956-57, ridusse rapidamente<br />
l’importanza dell’interscambio internazionale, tanto che la quota indiana del commercio<br />
mondiale dal 2,2% del 1948 scese a meno dello 0,4% ne<strong>gli</strong> anni ’70 e si<br />
mantenne a questo livello fino alla fine de<strong>gli</strong> anni ’80. Le esportazioni di merci e<br />
servizi rappresentavano solo il 5,7% del PIL nel 1986 e l’8,6% nel 1991.<br />
Data la forte chiusura a<strong>gli</strong> scambi internazionali, le esportazioni dell’India – tabacco,<br />
spezie, oli vegetali, cotone e juta – non rappresentavano più del 3,5% del suo<br />
PIL, le importazioni (escluso petrolio e cereali) solo il 3% e sempre più marginale<br />
divenne la presenza delle imprese straniere. Di conseguenza la sua bilancia commerciale,<br />
come quella dei pagamenti, rimase cronicamente deficitaria e ancora oggi<br />
l’integrazione economica internazionale del paese appare in ritardo rispetto a quella<br />
cinese. Dopo l’indipendenza, la ricerca d’autosufficienza economica modificò la<br />
composizione delle importazioni, le cui voci principali da manufatti, beni di consumo<br />
e cereali divennero beni capitali, tecnologie, materie prime e prodotti energetici,<br />
mentre cominciarono a essere esportati anche macchine, componenti meccanici,<br />
prodotti chimici, cuoio e suoi manufatti, abbi<strong>gli</strong>amento, minerali ferrosi, gemme e<br />
gioielli. Secondo Krueger (2010: 401), probabilmente la restrizione delle importazioni<br />
si spinse oltre a quello che richiedeva l’adottata strategia <strong>della</strong> sostituzione delle<br />
importazioni.<br />
I primi interventi per la liberalizzazione commerciale arrivarono con l’“Open<br />
General Licensing” del 1976 e il suo elenco di merci che non avevano più bisogno<br />
di licenza per essere importate, lista ulteriormente ampliata ne<strong>gli</strong> anni successivi,<br />
insieme alla semplificazione del regime d’importazione di molti beni strumentali, a<br />
una timida apertura a<strong>gli</strong> investimenti e alle collaborazioni straniere e alla riduzione<br />
<strong>della</strong> quota delle importazioni “canalizzate” (importazioni che richiedevano<br />
l’intermediazione e agenzie monopolistiche governative). Per ottenere un tasso di<br />
cambio più realistico la rupia fu agganciata a un paniere di valute. Infine, il graduale<br />
smantellamento del sistema di quote fu compensato con l’aumento dei dazi, tanto<br />
che meno del 5% dei prodotti risultava coperto da dazi inferiori al 60%, mentre venivano<br />
“introdotti o estesi diversi incentivi alle esportazioni” (Chiarlone, 2008: 47 e