L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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La politica estera indiana e la governance globale<br />
temi dello sviluppo, distinto da quello nord-sud la cui agenda è centrata su commercio<br />
e crescita economica.<br />
Infine, due grosse limitazioni caratterizzano la capacità d’azione <strong>della</strong> diplomazia<br />
indiana: il corpo diplomatico è composta da solo 600 persone, come quello di Singapore<br />
o <strong>della</strong> Nuova Zelandia e malgrado che nella diplomazia economica indiana il<br />
ruolo del ministero de<strong>gli</strong> Esteri sia formalmente centrale, <strong>altri</strong> ministeri e rappresentanze<br />
di vari settori privati sono coinvolti. Questo comporta che alcuni ministeri come<br />
quelli del Commercio, Finanze, Petrolio e gas naturale e del Turismo, ed enti privati<br />
come la Confindustria e l’Associazione delle Camere di commercio agiscano in questo<br />
campo senza previa consultazione e coordinazione con il ministero responsabile.<br />
6.3 L’INDIA, LE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI E<br />
LA GOVERNANCE GLOBALE<br />
Come altre potenze emergenti, l’India si trova davanti a una scelta strategica cruciale:<br />
accettare di essere cooptata nelle attuali strutture internazionali che sono state create e<br />
dominate dall’Occidente e particolarmente da<strong>gli</strong> USA, oppure cercare di diventare uno<br />
dei poli di un nuovo sistema multipolare 7 che presuppone una ridistribuzione del potere,<br />
da cominciare proprio all’interno delle maggiori organizzazioni internazionali. Nel<br />
primo caso per diventare un attore globale, l’India dovrebbe cooperare con le altre potenze<br />
emergenti, compresa la Cina, ciascuna delle quali, però, ha anche un forte interesse<br />
a cooperare con <strong>gli</strong> USA, secondo i quali l’India assumerebbe una maggiore importanza<br />
se fosse disposta a fare da ago <strong>della</strong> bilancia (“swing” state) 8 , cosa che non<br />
sembra dispiacerle (Sikri, 2009: 278 e 281-82). Nel secondo caso, l’India deve essere<br />
pronta a far fronte alle resistenze e alle contromisure che tale sfida provoca da parte<br />
de<strong>gli</strong> attuali possessori del potere, dato che è difficile ipotizzare che una potenza emergente<br />
venga cooptata nel sistema in modo semplice e indolore In entrambi i casi<br />
l’India sembra aver da tempo abdicato alla pretesa di considerarsi una “potenza morale”,<br />
come ben evidenziato dalla sua politica nucleare 9 .<br />
7 L’idea del multipolarismo che l’India ha abbracciato si ricollega alla tendenza, emersa<br />
dalla fine <strong>della</strong> Guerra fredda, a scomporre il “sistema politico internazionale in un complesso<br />
di aree regionali sempre più distinte le une dalle altre, ciascuna dotata di propri<br />
conflitti, di propri linguaggi e di proprie strutture di potere”. Un regionalismo che Colombo<br />
(2010: 339 e 340-41) pone alla radice di due dei quattro scenari che elabora per spiegare<br />
la riorganizzazione dello spazio globale: quello di “uno spazio multicentrico e competitivo”<br />
e quello di “uno spazio a-centrato e caotico”.<br />
8 “Dopo più di mezzo secolo di false partenze e non realizzato potenziale, l’India sta ora<br />
emergendo come uno swing state dell’<strong>equilibri</strong>o politico globale” (Mohan, 2006: 17),<br />
cioè un paese che con il suo posizionamento può condizionare pesantemente l’assetto e<br />
<strong>gli</strong> <strong>equilibri</strong> del potere mondiale.<br />
9 Il comportamento nucleare dell’India è stato spesso considerate poco attendibile. La cosiddetta<br />
“peaceful nuclear explosion” del 1974 avvenne quando l’idealismo nehruviano<br />
era ancora imperante. Questa fu seguita nel 1998 dal riconoscimento formale dell’India<br />
come potenza nucleare, quando solo nella decade precedente aveva proposto il “Rajiv<br />
Gandhi Action Plan” che avrebbe dovuto portare al disarmo nucleare universale entro il<br />
2010. Ma le contraddizioni abbondano (i) insistenza a mantenere una “credible minimum<br />
deterrence” per rafforzare la propria sicurezza nazionale e allo stesso tempo sostenere la<br />
dottrina del “no first use”, un evidente tentativo di minimizzare l’importanza del possesso<br />
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