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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />

Malgrado dia “spazio nel proprio pantheon alle figure sacre di tutte le altre religioni”,<br />

l’induismo “non è, contrariamente a quanto comunemente si crede, una religione<br />

inclusiva”. E, infatti, non “prevede la possibilità di convertirsi”, giacché induisti<br />

“si può solo nascere” (Armellini, 2008: 128)<br />

si.<br />

11 . Il concetto di induismo come un’unica<br />

religione è piuttosto recente e “non è nemmeno autoctono”, perché rappresenta “uno<br />

dei tanti frutti di quelle relazioni di potere asimmetriche”, come quelle “fra le amministrazioni<br />

coloniali e le popolazioni sottoposte” (Rondinone, 2008: 34).<br />

La difficoltà a definire l’induismo e a identificare un suo comune denominatore<br />

12 ha spinto i pensatori indiani dell’Ottocento a concludere che esso non sia tanto<br />

una specifica religione, ma una costellazione di fedi, filosofie e stili di vita, mentre,<br />

più recentemente, è stato visto come una civiltà contenente una pluralità di religioni<br />

distinte. Nonostante abbia alimentato una grande proliferazione di superstizioni e<br />

rituali che lo rendono misterioso e imprevedibile, nella pratica l’induismo permea<br />

tutti <strong>gli</strong> aspetti sociali <strong>della</strong> comunità influenzando notevolmente anche i soggetti<br />

appartenenti ad <strong>altri</strong> credi religio<br />

La sua peculiare elasticità ha fatto sì che l’India non diventasse mai espansionista.<br />

Data la diversità dei valori, dei concetti teologici e delle pratiche che caratterizzano<br />

l’induismo, non sorprende che tante siano le interpretazioni, le pratiche e i modelli<br />

di vita che ne derivano. Nell’induismo convivono quindi “severi apologeti di<br />

una società gerarchica ed elitaria e riformisti che predicano l’egua<strong>gli</strong>anza di tutte le<br />

genti, … tolleranti pacifisti, brutali oltranzisti e ‘indù-centrici’ che praticano quella<br />

sottile violenza che è l’inclusivismo”. Ancor oggi la pacifica convivenza fra la comunità<br />

indù e quella musulmana è precaria, la celebrata tolleranza indiana è spesso<br />

assente e la violenza prevale su quella “non violenza” che in verità non è affatto nel<br />

carattere indiano 13 . In realtà, intolleranza e violenza sono componenti strutturali, essenziali<br />

<strong>della</strong> società indiana, anzi “a livello dei comportamenti sociali, …<br />

l’intolleranza sembra, di quanto in quanto, in crescita”. Anche nella politica estera<br />

stiani, ma specialmente i cattolici, hanno riprodotto il sistema castale con i vescovi brahamani<br />

e la congregazione dalit (Luce, 2010: 251, nota a piè di pagina).<br />

11 Per arginare la preoccupante opera dei missionari cristiani, soprattutto presso <strong>gli</strong> strati<br />

più poveri <strong>della</strong> popolazione, da tempo i fondamentalisti continuano a chiedere una legge<br />

anticonversione.<br />

12 Nell’induismo si trova anche una componente atea, la Lokayata, che elaborò “le posizioni<br />

più radicalmente critiche nei confronti del pensiero e più in generale<br />

dell’ordinamento sociale e religioso brahmanico”, rifiutando ogni trascendenza e riconoscendo<br />

come unica fonte di conoscenza solo la percezione. In seguito, anche la percezione<br />

venne abbandonata e si arrivò allo scetticismo totale (Torella, 2008: 101 e 204).<br />

13 “Il mito dell’ahimsa o non violenza come parte intrinseca <strong>della</strong> personalità indiana fu<br />

venduto da Gandhi e acquistato dalla nazione per convenienza”, Varma (2008: 243 e 245-<br />

6) indica alcune evidenze di quanto asserito: l’indiscriminata violenza de<strong>gli</strong> indù come dei<br />

musulmani nei loro scontri interni, la diffusa pratica del feticidio femminile, nel maltrattamento<br />

di individui classificati come inferiori o particolarmente vulnerabili e<br />

l’approvazione sociale che spesso l’accompagna. Varma sembra attribuire alla paura di<br />

questa potenziale violenza anche la creazione del sistema castale.A ogni modo, ora, più<br />

che una forma di “non resistenza”, la non violenza è un metodo di lotta che “si basa<br />

sull’acuta percezione che un sistema di potere, per essere in grado di funzionare, deve avere<br />

la collaborazione passiva o attiva delle persone a esso sottoposte. Nel momento in<br />

cui questa collaborazione si interrompe, il sistema è inevitabilmente destinato a entrare in<br />

crisi” (Torri, 2011).

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