L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />
0,5% nel 1991-2000, un chiaro esempio <strong>della</strong> temuta “crescita senza lavoro”. In effetti,<br />
(i) tra 1999 e il 2004 l’occupazione nel settore informale è cresciuta più che nel<br />
settore formale; (ii) la crescita dell’occupazione nel settore formale è riconducibile<br />
interamente all’incremento dell’impiego informale, per cui “il settore formale non<br />
agricolo ha sperimentato una crescita di 8,3 milioni di posti di lavoro informali e una<br />
contrazione di 0,5 milioni di impieghi formali”. Il paese sta così sperimentando “una<br />
contrazione <strong>della</strong> sua forza lavoro formale e un’espansione di quella informale. A<br />
tale fenomeno contribuiscono sia la crescita del settore informale, sia il deciso processo<br />
d’informalizzazione del lavoro nel settore formale, riconducibile in gran parte<br />
a processi di sostituzione dei lavoratori più protetti con quelli che lo sono meno nella<br />
cosiddetta ‘corsa verso il basso’… legata al binomio competizione/globalizzazione”;<br />
(iii) la tendenza all’informalizzazione del lavoro nel settore formale è particolarmente<br />
marcata nel manifatturiero; (iv) i nuovi posti di lavoro – sia formali che<br />
informali – creati nel settore formale sono stati posti informali per circa la metà diretti<br />
all’industria, per quasi il 20% al settore edile e per un 16% all’istruzione; (v) la<br />
tendenza alla informalizzazione del settore formale appare sempre più come “un<br />
trend centrale del processo indiano di crescita capitalistica, soprattutto nell’industria<br />
manifatturiera; (vi) il 91% delle donne appartenenti alla forza lavoro non agricolo<br />
sono nel settore informale, contro il 70% de<strong>gli</strong> uomini, una preponderanza che ha<br />
fatto parlare di ‘femminilizzazione <strong>della</strong> forza lavoro’”; e, infine, (vii) altra caratteristica<br />
è rappresentata dai lavoratori autonomi (homeworkers), circa 100 milioni tra i<br />
quali la presenza femminile è molto elevata nelle aree rurali, mentre in quelle urbane<br />
la proporzione per uomini e donne tende a equilibrarsi (Biggeri, 2007: 7-10). C.P.<br />
Chandrasekhar e Jayati Ghosh (2002: 143) hanno inoltre sottolineato che non solo<br />
oltre il 90% <strong>della</strong> forza lavoro rientra nella sfera informale, priva così di qualsiasi<br />
garanzia sulle condizioni di impiego, ma i salari reali ristagnano e aumentano il differenziale<br />
salariale di genere e le difficoltà di accesso al mercato del lavoro per i<br />
giovani e le giovani nella fascia d’età compresa fra i 15 e i 29 anni.<br />
I lavoratori autonomi svolgono nelle proprie case un lavoro remunerato, solitamente<br />
a cottimo per conto d’imprese e aziende del settore industriale e ricevono le<br />
materie prime da<strong>gli</strong> intermediari o dalle imprese che acquistano il prodotto finito.<br />
Normalmente, le loro attività sono ad alta intensità di lavoro e riguardano soprattutto<br />
i settori tessile, abbi<strong>gli</strong>amento, calzature e artigianale. Il subappalto si è esteso a tutta<br />
la catena internazionale di produzione (global value chain) con due tipologie a seconda<br />
che la catena di produzione sia guidata dal produttore o dal consumatore, anche<br />
se, in entrambi i casi, la produzione è generalmente localizzata nei PVS, mentre<br />
le attività ad alto valore aggiunto sono trattenute nei paesi industriali. Secondo il<br />
rapporto del NSSO, il numero totale di lavoratori informali in imprese non agricole<br />
toccava, nel 1999-01, <strong>gli</strong> 80 milioni, di cui 30 erano lavoratori a domicilio. Lo studio<br />
di Mehrotra e Biggeri del 2007 (cit. da Biggeri (2007: 11) evidenzia che in India “il<br />
lavoro a domicilio costituisce un’attività di sussistenza”, è terribilmente precario in<br />
quanto i contratti sono solo verbali, la retribuzione per unità bassa, i pagamenti ritardati<br />
e spesso non mancano i maltrattamenti. La relazione tra il lavoratore a domicilio<br />
e subappaltatore risulta però stabile, non solo a causa di assenza di alternative,<br />
ma per l’isolamento in cui vive il lavoratore, che a volte è anche indebitato con il<br />
subappaltatore. Grazie al lavoro a domicilio, quest’ultimo non solo risparmia i costi<br />
concernenti lo spazio e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong> inputs produttivi, come energia e acqua, ma mi<strong>gli</strong>ora<br />
la flessibilità dell’impresa e il processo produttivo. Il lavoro a domicilio permette<br />
alle donne di lavorare e generare reddito pur continuando a dedicare almeno parte