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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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La “grande Potenza povera”<br />

difendere <strong>gli</strong> interessi delle fasce ricche stanziate nei paesi ricchi piuttosto che quelli<br />

dei semplici lavoratori indiani all’estero.<br />

L’afflusso di investimenti esteri ha contribuito a stimolare <strong>gli</strong> investimenti indiani<br />

fuori del paese, cresciuti rapidamente dai $750 milioni del 2000-01 ai $18,8 miliardi<br />

del 2007-08, per poi declinare fino ai $16,2 miliardi del 2010-11, secondo le<br />

stime <strong>della</strong> RBI (ma secondo altre stime, il flusso verso l’estero nel 2007 avrebbe<br />

raggiunto $30 miliardi). L’investimento estero indiano concerne specialmente operazioni<br />

di M&A e solo raramente di greenfield (Stanca, 2009: 89 e 91) e si dirige<br />

prevalentemente a<strong>gli</strong> USA e all’UE, ed è probabilmente la maggiore affinità culturale<br />

con queste aree che permette anche alle medie imprese di partecipare al processo<br />

d’internazionalizzazione. Subramanian (2009 (2005): 108) fa anche notare che “nel<br />

2006-07, l’India, malgrado non fosse proprio un esportatore netto di capitale, fosse<br />

invece un notevole esportatore lordo e che i suoi IDE non si dirigessero ai paesi poveri<br />

o si concentrassero sul petrolio, ma più del 75% finisse nei paesi ricchi, concentrandosi”,<br />

precisa Nayyar (2008: 111, 116 e 113), “per il 40% nel manifatturiero e<br />

per il 30% nell’IT. I flussi diretti ai PVS, infatti non superano il 15% e sono in gran<br />

parte inter-regionali. Il cumulo totale de<strong>gli</strong> IDE indiani è aumentato da $124 milioni<br />

nel 1990 a $1,9 miliardi nel 2000 e a $9,6 miliardi nel 2005, pari, nel periodo 2001-<br />

05, all’1% circa <strong>della</strong> formazione lorda del capitale fisso del paese. Naturalmente,<br />

l’espansione de<strong>gli</strong> IDE si spiega con la capacità e abilità di competere sui mercati<br />

mondiali che le imprese del paese hanno chiaramente sviluppato”.<br />

La liberalizzazione e <strong>gli</strong> investimenti esteri indiani stanno contribuendo a una<br />

sempre più marcata differenziazione dell’industria, perché tendono ad avvantaggiare<br />

maggiormente le grandi imprese, caratterizzate generalmente da alta intensità di capitale<br />

e lavoro specializzato, che sono riuscite a sfruttare le più intense interazioni<br />

stabilite con quelle estere, mentre per le Pmi è diventato ancora più difficile ottenere<br />

credito agevolato, accedere al mercato azionario e competere col grande capitale indiano<br />

ed estero. L’apertura del mercato alla concorrenza di produttori stranieri più<br />

efficienti ha accresciuto le difficoltà del settore delle Pmi limitandone la capacità di<br />

assorbimento di manodopera, particolarmente di quella meno specializzata, il che ha<br />

contribuito all’ampliamento dell’economia informale e alla crescente precarizzazione<br />

del lavoro (Adduci, 2010: 5). Inoltre, le grandi imprese indiane a volte danno<br />

l’impressione di essere più propense a investire all’estero che nel proprio paese, per<br />

esempio nell’estrazione di quelle risorse naturali di cui questo abbonda, per non affrontare<br />

tutti i problemi che lo svolgimento di un’attività economica in loco ancora<br />

comporta. Per cui questi investimenti esteri, invece di simboleggiare la crescente potenza<br />

dell’India, potrebbero rivelarne le debolezze economiche.<br />

Il disavanzo delle partite correnti continua e secondo Goldman Sachs avrebbe<br />

raggiunto il 4% del PIL nell’anno fiscale terminato il 31marzo 2011 ($15,8 miliardi<br />

nel trimestre lu<strong>gli</strong>o-settembre 2010), un disavanzo superiore a quello accusato durante<br />

la crisi valutaria del 1991, ma finora l’India non ha avuto problemi a procurarsi<br />

i capitali esteri di cui ha bisogno. Durante il 2010, infatti, <strong>gli</strong> acquisti esteri di azioni<br />

indiane hanno raggiunto $25 miliardi, un afflusso che si spiega con la forte crescita<br />

dell’economia, il rafforzamento <strong>della</strong> rupia e i vari aumenti del tasso d’interesse (che<br />

in termini reali è passato dal 6,2% de<strong>gli</strong> anni ’90 al 6,7% del 2000-2009) decretati<br />

dalla RBI, mentre le riserve valutarie sono arrivate, a settembre 2011, a $281 miliar-<br />

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