L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />
le dimensioni di scala – produce un gran numero di merci ad alta intensità di lavoro<br />
specializzato e mostra scarso interesse ad aumentare le produzioni che invece assorbono<br />
molto lavoro non qualificato.<br />
Questa interpretazione del processo di crescita indiano è stata ulteriormente elaborata<br />
da Rakesh Mohan (2008: 2-3) – vedi Tabella 1.2 e 1.3 – secondo il quale<br />
dall’indipendenza in poi la crescita del PIL reale è stata continua, salvo per <strong>gli</strong> anni<br />
’70, con un’accelerazione a partire dal 1991; relativamente stabile attorno al 5,6-<br />
5,9% quella del settore manifatturiero; soggetta ad ampie variazioni quella del settore<br />
agricolo e in costante declino dall’inizio de<strong>gli</strong> anni ’90, quando, invece, si cominciò<br />
a notare la crescita del settore dei servizi. In effetti, il costante aumento, salvi<br />
sempre <strong>gli</strong> anni ’70, del PIL nazionale si deve proprio alla continua accelerazione di<br />
questo settore, al quale le riforme del 1991-92 hanno dato un’ulteriore e decisiva<br />
spinta. La crescita indiana si ridusse di poco durante la crisi finanziaria asiatica nella<br />
seconda metà de<strong>gli</strong> anni ’90, riprese con forza dal 2003-04 e ha subito un rallentamento<br />
nel 2008-9 e di nuovo nel 2011, all’aggravarsi <strong>della</strong> crisi globale.<br />
Per Bhalla (2010: 40-44 e 49-57), i problemi <strong>della</strong> crescita del settore industriale<br />
derivano sia dalla politica monetaria del RBI, cioè l’aumento del tasso d’interesse, e<br />
sia dal non aver mantenuto un tasso di cambio sottovalutato. Bhalla mira a spiegare<br />
tre questioni: (i) l’accelerazione <strong>della</strong> crescita ne<strong>gli</strong> anni ’80; (ii) la non accelerazione<br />
de<strong>gli</strong> anni ’90 dopo i primi effetti delle riforme; e (iii) la “miracolosa” crescita<br />
dal 2003-04, anche se le riforme scarseggiarono. Mentre (i), il tasso di crescita del<br />
5,6% de<strong>gli</strong> anni ’80, “non rappresenta una significativa deviazione dal tasso che era<br />
da aspettarsi” considerando sia il favorevole andamento monsonico sia il passaggio<br />
di manodopera agricola ad un settore a più alta produttività come quello industriale,<br />
(ii) e (iii) sono spiegati dalla politica monetaria, in quanto l’aumento dei tassi<br />
d’interesse fu responsabile <strong>della</strong> limitata crescita de<strong>gli</strong> anni ’90, mentre la loro notevole<br />
riduzione nella decade successiva la sostenne. Bhalla (2010: 53-57) guarda poi<br />
alla politica fiscale, ovvero al deficit fiscale che è rilevante sia per la crescita che per<br />
l’inflazione. Il timore che questo deficit causasse inflazione, spinse il RBI a fissare<br />
alti tassi d’interesse, mentre erano proprio essi ad alimentare il deficit fiscale visto<br />
che nel 2007 circa la metà di quest’ultimo consisteva nel pagamento de<strong>gli</strong> interessi<br />
che naturalmente impattavano negativamente su<strong>gli</strong> investimenti – infatti, ogni aumento<br />
dell’1% del tasso d’interesse causa una riduzione del 2-3% del tasso<br />
d’investimento – e quindi sul tasso di crescita del paese, al quale contribuisce anche<br />
il deprezzamento cambiario che, secondo Bhalla (2010: 59-61), rende <strong>gli</strong> investimenti<br />
più redditizi – un deprezzamento del 10% comporta un aumento de<strong>gli</strong> investimenti<br />
di quasi l’1%.<br />
Il motore <strong>della</strong> crescita indiana è costituito dal consistente e continuo aumento del<br />
tasso di risparmio e di quello d’investimento e <strong>della</strong> domanda. Il primo è passato da<br />
una media del 9,6% del PIL ne<strong>gli</strong> anni ’50 a 30,7% nel periodo 2001-2010 con un picco<br />
del 38% nel 2007, mentre il tasso de<strong>gli</strong> investimenti lordi è aumentato dal 10,8% al<br />
34,3% del 2004-08 (30,7% nel 2001-10) (Mohanty, 2011: 4-5 Tab. 7). Se il tasso di<br />
risparmio indiano non ha raggiunto il livello cinese, questo è dipeso principalmente<br />
dallo scarso contributo sia delle imprese private sia del settore pubblico, contributo che<br />
ora, però, comincia ad aumentare. Nel 2005, infatti, il tasso di risparmio delle fami<strong>gli</strong>e<br />
ha superato quello <strong>della</strong> Cina – 30% contro 25% del reddito disponibile.<br />
Ne<strong>gli</strong> ultimi venticinque anni la percentuale de<strong>gli</strong> investimenti sul PIL ha fluttuato<br />
tra 20 e 26%, bassa se paragonata al 35-45% <strong>della</strong> Cina dove un 19% de<strong>gli</strong> investimenti<br />
sono andati alle infrastrutture, contro solo il 2% dell’India. Poiché la forma-