L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />
paio di generazione, come hanno fatto la Corea del Sud e Taiwan, oppure se la recente<br />
accelerazione <strong>della</strong> crescita non ha basi sufficienti per darle sostenibilità,<br />
com’è avvenuto in tanti <strong>altri</strong> paesi. Ma se l’India non dovesse riuscire a diventare<br />
una democrazia costituzionale di reddito medio, allora rischierebbe di diventare<br />
“un’oligarchia diseguale o peggio, e forse molto prima di quanto si pensi”.<br />
Il vero fallimento dell’India dall’indipendenza a<strong>gli</strong> anni più recenti è stato la sua<br />
incapacità, per una ragione o per l’altra, a trasformare la pur notevole crescita economica<br />
in uno sviluppo diffuso, cioè capace di mi<strong>gli</strong>orare le condizioni di vita <strong>della</strong><br />
gente ordinaria (Nayyar, 2006a: 1457). Armellini (2008: 15) avverte anche che “se<br />
l’India non riuscirà a ridurre il divario fra ricchi e poveri al suo interno e se la maggioranza<br />
contadina continuerà a non vedere alcuna possibilità di riscatto nel suo futuro”,<br />
aumenterà il pericolo dell’integralismo indù. Il tutto non può che avere un devastante<br />
impatto negativo sulle possibilità di crescita del paese.<br />
L’India è tuttavia ancora paese di estremi, incline a sviluppare idee estreme su se<br />
stessa, un paese che continua a ispirare e a volte anche a deludere. La costrizione <strong>della</strong><br />
nazione indiana resta un progetto incompiuto e il paese appare ancora soffrire di “un<br />
tipo particolare di ansia postcoloniale”, l’ansia di “una società perennemente sospesa<br />
nello spazio che si estende tra l’‘ex colonia’ e la ‘nazione a venire’” (Samaddar 1999:<br />
108, cit. da Menon e Nigam, 2009: 188), nella quale le tensioni tra potere e principi<br />
continueranno a caratterizzare per molto tempo ancora la sua politica estera. Frattanto,<br />
<strong>gli</strong> imperativi d’idealismo e moralismo continuano ad agitare l’intero discorso politico,<br />
mentre moderare il nazionalismo e bilanciare fini e mezzi sono sfide che necessariamente<br />
accompagnano l’ascesa di una potenza sulla scena mondiale.<br />
Quello indiano è uno sviluppo che l’attuale complesso e interdipendente sistema<br />
globale, con la sua “gerarchia del potere”, solo recentemente ha cominciato a riflettere,<br />
perché solo da poco la crescita economica indiana ha cominciato ad avere un<br />
significativo impatto sull’Occidente. Se questo non è un problema per l’India, un<br />
suo problema è invece che il movimento nazionale indiano nacque con la speranza<br />
che l’India fosse portatrice di un’universalità alternativa e che, quindi, la sua politica<br />
sarebbe stata guidata da valori e principi che tutti i paesi avrebbero dovuto adottare,<br />
mentre oggi fatica a definirsi, cerca di capire possibilità e limiti del potere raggiunto.<br />
“Essendo stata isolata economicamente per molto tempo, l’India deve ancora<br />
trovare il suo posto in un nuovo ordine internazionale nel quale potrebbe essere uno<br />
dei maggiori attori globali”, ma fortunatamente “si è fatta una notevole esperienza<br />
nell’arena internazionale e in quest’ambito la sua influenza continuerà a crescere” e<br />
si spera venga “diretta al mantenimento <strong>della</strong> stabilità ne<strong>gli</strong> affari mondiali”. Dubbi<br />
esistono, però, che essa sia, come sostiene Rothermund (2008:244-45) nelle sue<br />
conclusioni, “una potenza dello status quo” che “mira alla coesistenza pacifica” e<br />
non ambisce a estendere il proprio potere oltre le proprie frontiere. Un giudizio che<br />
forse nessuno dei paesi confinanti è disposto a sottoscrivere, anche se l‘India per il<br />
momento fa meno paura <strong>della</strong> Cina, perché la sua arretratezza economica non le<br />
permette una maggiore proiezione internazionale. Un’India economicamente più<br />
forte potrebbe facilmente dismettere le vesti pacifiste e la solidarietà terzomondista<br />
sbandierata quando la sua posizione marginale nella scena mondiale non richiedeva<br />
di formulare e portare avanti una reale politica estera. La scelta nucleare potrebbe<br />
essere considerata una chiara manifestazione <strong>della</strong> trasformazione in atto di una potenza<br />
pacifica in una potenza egemonica in cerca di una propria area d’influenza e di<br />
un posto centrale nella governance di un sistema globale finora criticato. Sfortuna-