L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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La “grande Potenza povera”<br />
mi<strong>gli</strong>ore istruzione rende possibile una mi<strong>gli</strong>ore e più remunerativa occupazione, per<br />
cui la pressione popolare per un sistema scolastico più efficiente si sta intensificando<br />
Cercando di eliminare l’eredità dell’East India Company, il sistema di licenze<br />
generò pigri monopoli che condannavano i consumatori indiani ad acquistare a prezzi<br />
alti prodotti di cattiva qualità. Frattanto, venivano lanciati ambiziosi progetti<br />
d’irrigazione, si costruivano grandi dighe e acciaierie, ma poiché il governo non riuscì<br />
a introdurre un’efficiente tassazione diretta per mobilitare le risorse necessarie,<br />
<strong>gli</strong> investimenti pubblici stentarono a raggiungere il livello desiderato, nonostante<br />
che la scarsità dei beni di consumo inducesse i consumatori a risparmiare.<br />
La strategia era apparentemente non sostenibile – sempre più ridotte erano le opportunità<br />
per la sostituzione delle importazioni 3 e le esportazioni insufficienti – e<br />
conteneva i semi <strong>della</strong> crisi che fu innescata dalle siccità che si manifestarono nel<br />
1965-67, eventi che erano già stati preceduti dalla guerra con la Cina nel 1962 e da<br />
quella con il Pakistan nel 1965. Nel 1966, sotto le pressioni <strong>della</strong> BM e le promesse<br />
americane, poi non mantenute, di aiuti, l’India svalutò la rupia – la moneta indiana.<br />
Dato, però, che la domanda per le sue esportazioni era inelastica ed era difficile contrarre<br />
le importazioni di petrolio e quelle di beni capitali, il risultato non fu la crescita<br />
promessa dalla BM, ma una forte inflazione. A questo punto sembrò anche che il<br />
governo si fosse deciso ad avviare un processo di revisione <strong>della</strong> politica industriale,<br />
ma già nel 1968 queste pur timide aperture furono soffocate dalla furia populista di<br />
Indira Ganhi che pensò bene di introdurre il Monopolies and Restricted Trade Practices<br />
Act (1969) e di nazionalizzare le banche, accentuando così i problemi del settore<br />
industriale e frenando la crescita. Fu, inoltre, intrapresa una campagna di ridistribuzione:<br />
i maharajah furono privati dei loro privilegi, nuove tasse furono imposte ai<br />
ricchi, la legislazione per la riforma agraria fu resa più cogente – la “Rivoluzione<br />
verde” stava beneficiando specialmente i ricchi coltivatori – e furono introdotti programmi<br />
di lavori pubblici per aumentare il reddito dei poveri.<br />
Tra il 1970 e il 1973 il PIL pro capite si ridusse del 5% e aumentò il deficit fiscale<br />
e quello <strong>della</strong> bilancia commerciale a causa dell’aumento del valore delle importazioni<br />
di beni d’investimento e di petrolio – nel 1973 il costo per l’importazione di<br />
quest’ultimo fu il doppio delle riserve indiane – e <strong>della</strong> scarsa competitività delle<br />
esportazioni. Il risultato fu una paralizzante stagflation che evidenziava i seri limiti<br />
del modello economico indiano (Panagariya, 2008: 76). Sfortunatamente, il governo<br />
attribuì il “fallimento dell’economia… alla mancanza di controlli sufficienti, invece<br />
che al loro eccesso” (Jha, 2010: 217) e conseguentemente ne decise il rafforzamento.<br />
Seguirono riduzione di importazioni e investimenti, restrizione delle operazioni delle<br />
imprese estere, tetti imposti alla proprietà <strong>della</strong> terra, impossibilità di licenziamento<br />
per imprese con più di 100 operai. A metà de<strong>gli</strong> anni ’70 le spese pianificate assorbivano<br />
il 20% del PIL, tre volte la quota del 1951, finendo per rappresentare due terzi<br />
de<strong>gli</strong> investimenti del paese o anche tre quarti nel periodo 1980-85. I settori con la<br />
maggiore presenza pubblica furono il minerario (79%), l’energetico (89%), i trasporti<br />
(100%), le comunicazioni e il bancario (81%), mentre la quota pubblica nel manifatturiero<br />
non superò mai il 15%. In questo periodo “il processo di colonizzazione<br />
dell’economia indiana da parte del settore pubblico toccò il suo apice” (Chiarlone,<br />
3 Secondo Subramanian (2009: xxi e 48) la strategia di sostituzione delle importazioni non<br />
favorì il settore domestico, specialmente quello privato, salvo forse ne<strong>gli</strong> anni ’80 quando<br />
il commercio estero fu controllato e le restrizioni alle attività interne furono ridotte.<br />
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