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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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La “grande Potenza povera”<br />

dal 4,1% (più 2,2% de<strong>gli</strong> stati) nel 1950-51 al 10% (più 6% de<strong>gli</strong> stati) del 2010-11. Il<br />

totale 16% è però ancora molto basso – paragonato al 34% dell’Inghilterra, al 37%<br />

<strong>della</strong> Germania e anche al 24% americano – e a esso la tassazione diretta contribuisce<br />

solo con il 38%, praticamente la stessa percentuale del 1950-51.<br />

La prima importante riforma fiscale fu quella di Rajiv Gandhi che trasformò le<br />

diverse imposte sul consumo in una tassa sul valore aggiunto e rivide le esenzioni<br />

fiscali concesse al settore delle piccole imprese al fine di ridurre l’incentivo a restare<br />

tali. Ne<strong>gli</strong> anni ’90 il disavanzo fiscale – e la relativa percezione che l’infrastruttura<br />

rappresentasse un collo di botti<strong>gli</strong>a insormontabile per la crescita – divenne un problema<br />

cruciale per l’economia indiana. Dopo alcuni mi<strong>gli</strong>oramenti promossi dal ministro<br />

delle Finanze Manmohan Singh, il disavanzo del governo centrale restò testardamente<br />

alto – tra 5,5% e 6,5% del PIL – per gran parte <strong>della</strong> decade. Al mi<strong>gli</strong>oramento<br />

del sistema fiscale ha contribuito molto il rafforzamento del settore industriale,<br />

che resta quello che paga la maggior parte delle entrate governative, mentre<br />

il reddito agricolo non è tassato e i redditi del settore dei servizi, solo da poco tassati,<br />

sono ancora modesti (Prasenjit Basu, 2005: 56- 57). Nel 2003 fu poi adottato il<br />

Fiscal Responsibility and Budget Management Act che impegnava il governo a “eliminare<br />

il deficit pubblico e ridurre quello fiscale, portandolo al 3% del PIL nazionale<br />

entro il 2009”. L’introduzione ad aprile 2005 <strong>della</strong> tassa sul valore aggiunto è stata<br />

strenuamente contestata da parte dei governi statali che temevano di perdere il<br />

controllo sulle proprie finanze e sui propri confini.<br />

L’evoluzione del sistema fiscale è così riassunta da Panagariya (2008: 333-34 e<br />

342): (i) la proporzione delle entrate fiscali nel PIL è cresciuta gradualmente fino al<br />

1987-88, ha poi stagnato per alcuni anni fino anche a diminuire, per poi tornare a<br />

crescere dall’inizio del nuovo secolo; (ii) dopo essere rimasta abbastanza stabile, la<br />

proporzione delle entrate relative alle tasse dirette nel PIL è aumentata ne<strong>gli</strong> anni<br />

’90 e ancora di più dopo; (iii) la proporzione nel PIL delle entrate delle tasse indirette<br />

è salita fino al 1987-88, per poi discendere lentamente ne<strong>gli</strong> anni ’90 e risalire di<br />

nuovo nella decade seguente; (iv) le tasse sul reddito personale e quelle sui profitti<br />

d’impresa sono aumentate rapidamente, a seguito delle misure introdotte da Manmohan<br />

Singh nel bilancio statale 1992-93.<br />

Per ridurre la segmentazione dei mercati interni, il governo centrale sta per introdurre,<br />

insieme a<strong>gli</strong> stati, una tassa integrata su beni e servizi (Goods and Services<br />

Tax) disegnata sulla base dell’IVA, adattandola al sistema federale indiano, e un Direct<br />

Tax Code. Indubbiamente la soluzione ideale sarebbe un’unica aliquota per tutto<br />

il paese, ma probabilmente sarà difficile realizzarla, il che distorcerà i modelli di<br />

consumo e spingerà a ridurre i livelli delle aliquote.<br />

Molto bassa è la percentuale delle fami<strong>gli</strong>e che pagano una qualche tassa sul<br />

reddito e il 70% di tutte le tasse è pagato dal 4% dei contribuenti (OECD, 2011: 9-<br />

10). Nel 2008 a pagare la tassa sul reddito è stato solo il 3,5% <strong>della</strong> popolazione e il<br />

sistema di tassazione indiretta, molto complesso e ricco di esenzioni, facilita la diffusione<br />

dell’evasione e <strong>della</strong> corruzione. La correzione fiscale tramite ristrutturazione<br />

e riduzione dei sussidi – il cui costo totale ammonta a circa il 9% del PIL, pari a<br />

$135 miliardi, con notevoli variazioni da un anno all’altro, e per due terzi pesa sui<br />

bilanci dello stato centrale (OECD, 2011: 8) – e la costante attenzione alla mobilitazione<br />

delle entrate sono misure necessarie per stimolare nel settore pubblico risparmi<br />

da utilizzare per il finanziamento de<strong>gli</strong> investimenti nelle infrastrutture, la cui<br />

mancanza causa inflazione – aumentata a un tasso medio del 7,1% nel periodo 2009-<br />

11 – e mina la competitività del paese.<br />

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