L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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L’India e il resto dell’Asia<br />
rebbero espandere la capacità del nucleare civile, ma la costruzione de<strong>gli</strong> impianti<br />
richiede anni e molto capitale. L’India mira anche a moltiplicare per 15 entro il 2030<br />
la sua capacità elettronucleare e arrivare così a 63 mila megawatt. Gli investimenti<br />
per il nucleare sono stimati a $150 miliardi fino al 2020, un decimo di quanto sarà<br />
necessario per tutte le infrastrutture di cui ha bisogno il paese, e questo solo per fornire<br />
meno del 15% <strong>della</strong> domanda elettrica globale. Mi<strong>gli</strong>ore è la situazione per il<br />
gas, avendone trovato importati depositi nel Golfo del Bengala, ma anche in questo<br />
caso la maggior parte <strong>della</strong> domanda dovrà essere soddisfatta dalle importazioni.<br />
Naturalmente, si possono immaginare <strong>altri</strong> progetti di gasdotti che non solo assicurerebbero<br />
sufficienti approvvigionamenti ai paesi interessati, ma risponderebbero<br />
anche a considerazioni politiche e strategiche e potrebbero contribuire alla risoluzione<br />
di situazioni finora rimaste intrattabili. Perché l’India possa partecipare alla “Grande<br />
Partita”, i cui partecipanti finora sono stati USA, Cina e Russia, l’unica possibile<br />
alternativa ai progetti IPI e TAPI, o alla loro integrazione, è il gas siberiano e centroasiatico.<br />
Per questo, New Delhi deve stabilire un serio dialogo energetico con Mosca e<br />
allo stesso tempo cercare un’intesa con Beijing, tenendo presente che poiché entrambi<br />
sono consumatori interessati alle stesse fonti, la competizione giova solo ai<br />
produttori. Inoltre, la Cina rappresenta una possibile via di trasporto dall’Eurasia<br />
all’India che, senza toccare l’Afghanistan e il Pakistan, attraversa lo Xinjiang e quindi<br />
il Karakoram e le montagne himalayane. A parte i non indifferenti problemi tecnici, il<br />
maggiore problema politico è rappresentato dall’attraversamento del conteso Aksai<br />
Chin dove i dotti dovrebbero entrare in India a Rutog o a Demchok.<br />
Questo gasdotto rappresenterebbe, però, il maggiore corridoio energetico tra<br />
l’Eurasia e l’Oceano Indiano, e accanto ad esso potrebbe venir costruito anche un<br />
oleodotto per far fluire il petrolio del Golfo in direzione opposta, creando così una mutua<br />
dipendenza che a sua volta, riducendo la mutua sfiducia, faciliterebbe la creazione<br />
di una larga intesa tra India e Cina. Da un punto di vista economico, la Cina guadagnerebbe<br />
notevoli diritti di transito con cui finanziare progetti di sviluppo nello Xinjiang<br />
and nel Tibet ed eventualmente organizzare una cooperazione sub-regionale<br />
che offra a<strong>gli</strong> uiguri l’alternativa di maggiori contati con <strong>gli</strong> indiani, piuttosto che con i<br />
fondamentalisti del Pakistan. D’altra parte, questo progetto contribuirebbe allo sviluppo<br />
economico dello Jammu-Kashmir e dell’Himachal Pradesh e forse potrebbe<br />
portare a una risoluzione <strong>della</strong> questione del Kashmir riaprendo i suoi tradizionali<br />
contatti con lo Xinjiang e il Tibet occidentale ed estendendo al Pakistan gasdotti attraverso<br />
la LOC e il Punjab. La creazione di una reciproca dipendenza dal gas eurasiatico<br />
potrebbe ridurre le preoccupazioni indiane relative alla sicurezza dei flussi energetici<br />
dell’IPI e del TAPI che dovrebbero attraversare il Pakistan. Naturalmente, la<br />
Russia dovrebbe essere d’accordo e lo strumento per arrivare a un’intesa è il vertice<br />
trilaterale nel quale l’energia è un’area di cooperazione, o anche la SCO.<br />
In questo modo l’Asia centrale sarebbe trasformata in uno spazio strategico che<br />
stringerebbe i maggiori produttori energetici asiatici, i consumatori e i paesi di transito<br />
in una fitta rete d’interdipendenza. Implicitamente questo significa che Beijing e New<br />
Delhi hanno realisticamente accettato che è impossibile sostituire il 70% circa<br />
dell’energia da carbone con fonti non dipendenti da idrocarburi fossili, malgrado <strong>gli</strong><br />
alti costi del processo d’estrazione. Dato che in Asia si trovano paesi esportatori e<br />
paesi importatori d’energia, l’India già da qualche anno ha proposto la creazione di<br />
una “Piattaforma asiatica per la sicurezza energetica”, una proposta che ha trovato<br />
l’appoggio cinese, tanto che è stata ventilata l’idea di una “Comunità asiatica del gas<br />
e del petrolio” che, seguendo l’esempio europeo, potrebbe costituire la base su cui<br />
costruire una “Comunità economica asiatica”.<br />
La dipendenza dall’importazione petrolifera e la necessità di diversificare le fonti<br />
di rifornimento hanno costretto l’India a venire a patti con stati poco accettabili come<br />
il Sudan, dove ha investito più di $750 milioni per il 25% del “Greater Nile Oil Project”;<br />
la giunta di Myanmar per costruire un gasdotto; il Venezuela di Chavez; e l’Iran.<br />
Le preoccupazioni indiane per la crescente influenza cinese in Africa, MO, LA e Asia<br />
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