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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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La “grande Potenza povera”<br />

significa che la “liberazione” di manodopera avvenuta nell’agricoltura è stata assorbita<br />

esclusivamente dai servizi, particolarmente da quelli tradizionali – vedi 1.1.4 –<br />

(Ghosh, 2010: 13 Tabella 2). La debole crescita delle industrie che impiegano principalmente<br />

lavoro scarsamente qualificato ha fatto sì che la quota del manifatturiero<br />

sul PIL restasse costante attorno al 16-17% e quella sulle esportazioni declinasse dal<br />

72 al 63% durante il periodo 1991-2008. In Cina, invece, nel 2008 il manifatturiero<br />

rappresentava il 34% del PIL e il 93% delle esportazioni.<br />

Delle 42 mila imprese censite nel 2005, solo l’1,4% aveva 10 o più dipendenti,<br />

dal che emerge che la frammentazione <strong>della</strong> struttura produttiva nelle attività non<br />

agricole è ugualmente pronunciata nel settore industriale come in quello dei servizi.<br />

D’altra parte, la produzione e distribuzione indiane sono normalmente caratterizzate<br />

da lunghe catene di intermediari e di commercianti all’ingrosso e al detta<strong>gli</strong>o, il che<br />

probabilmente sostiene l’occupazione, ma certamente riduce la produttività e aumenta<br />

enormemente la differenza tra i prezzi ottenuti dai produttori e quelli pagati<br />

dai consumatori (Valli e Saccone, 2009: 122).<br />

La crescita <strong>della</strong> domanda interna sta spingendo il governo a costruire supply<br />

chains efficienti, mi<strong>gli</strong>orare le infrastrutture in modo da facilitare i processi logistici e<br />

istituire ZES che dovrebbero diventare de<strong>gli</strong> hub produttivi. Il fatto è che il manifatturiero<br />

dovrebbe non solo crescere più rapidamente, ma anche riuscire a generare occupazione<br />

su larga scala, come è avvenuto in Cina e in gran parte dell’Asia orientale. Indubbiamente<br />

l’abilità manifatturiera indiana è aumentata, ma, in effetti, la produzione del settore<br />

è restata di piccola scala e d’alto valore aggiunto. Il settore è stato dall’inizio largamente<br />

trainato dalle grosse imprese locali e solo recentemente anche da alcune selezionate<br />

multinazionali. Ciò contrasta con il modello adottato dall’Asia orientale dove la crescita<br />

industriale è trainata dalle esportazioni ed è ampiamente alimentata da multinazionali<br />

che hanno creato reti produttive tra i paesi, spingendo ciascuno di essi a specializzarsi<br />

nella produzione ed esportazione di alcune parti e componenti. Questo ha generato un<br />

alto volume di scambi, anche se di basso valore aggiunto. L’India è entrata a far parte di<br />

queste reti solo nel campo del design e dei servizi, mentre il suo settore manifatturiero è<br />

restato fuori dalla divisione regionale del lavoro.<br />

Lo sfruttamento del suo vantaggio comparato avrebbe permesso all’India<br />

l’espansione delle esportazioni, e quindi maggiori entrate valutarie e più consistenti<br />

flussi di IDE. Probabilmente, esistono vincoli interni molto forti che hanno finora<br />

ostacolato l’affermarsi di imprese di grandi dimensioni capaci di riversare sul mercato<br />

grandi quantità di merci di buona qualità, prodotte con molto lavoro non qualificato,<br />

e competitive sui mercati mondiali. L’abbi<strong>gli</strong>amento rappresenta l’unica eccezione,<br />

però ne<strong>gli</strong> USA occupa una quota di mercato pari a quella del Bangladesh.<br />

Il processo d’integrazione dell’industria indiana con il mercato globale sembra aver<br />

contribuito alla differenziazione tra grande capitale e piccoli produttori che sono stati<br />

messi a dura prova sia dalla concorrenza estera e sia dalla liberalizzazione finanziaria<br />

che, eliminando il credito agevolato necessario per potersi attrezzare, non ha permesso<br />

loro di co<strong>gli</strong>ere le opportunità che la liberalizzazione stessa e la crescita economica offrivano.<br />

Poiché le piccole e medie imprese sono quelle che assorbono il maggior numero di<br />

lavoratori meno qualificati, il declino nei tassi di crescita dell’occupazione e la stagnazione<br />

dei salari sono conseguenza <strong>della</strong> loro crisi. La scarsa creazione di posti di lavoro,<br />

il generale livellamento delle retribuzioni verso il basso e il precariato che accomunano il<br />

settore industriale e quello agricolo, rappresentano il prezzo dell’integrazione<br />

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