L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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L’India e l’Europa<br />
stre esportazioni”, tanto che nel 1966 fu fondata la Camera di commercio indoitaliana.<br />
Con il crollo delle importazioni indiane a causa dalla crisi petrolifera del<br />
1973, il saldo commerciale divenne negativo per l’Italia, ma tornò positivo ne<strong>gli</strong><br />
anni ’80, quando l’interscambio tra i due paesi subì una forte impennata, grazie anche<br />
all’aumentata presenza delle Pmi italiane, cosicché nella seconda parte de<strong>gli</strong><br />
anni ’80 l’Italia divenne il quarto fornitore di tecnologia. Poiché le Pmi cercavano<br />
forme che non richiedevano investimenti diretti, la presenza italiana si realizzava<br />
“soprattutto nella collaborazione produttiva su licenza che la legislazione indiana<br />
consentiva a condizioni relativamente vantaggiose rispetto a<strong>gli</strong> <strong>altri</strong> paesi del Sud-<br />
Est asiatico”, una formula per la quale, però, in seguito <strong>gli</strong> imprenditori indiani hanno<br />
perso interesse (Mezzetti, 2009: 35).<br />
La presenza italiana continuò a crescere nei primi anni delle riforme economiche.<br />
Nel 1994 la Confindustria arrivò in India con una nutrita missione e nel 1995 vi<br />
fu la visita di stato del Presidente <strong>della</strong> Repubblica Scalfaro, ma la seconda metà<br />
<strong>della</strong> decade segnò la fine dell’espansione italiana e l’inizio di un periodo di assestamento.<br />
Durante questa decade l’80% de<strong>gli</strong> investimenti italiani si concentrò su<br />
quattro settori: alimentare, cuoio, ceramica e, infine, trattori e macchine agricole.<br />
Nel 1995 l’interscambio commerciale toccò i €2 miliardi, ma poi restò a questo livello<br />
e solo nella decade successiva ha mostrato una crescita fisiologica che lo ha<br />
portato a €6,7 miliardi nel 2003. “La vecchia industria indiana, cui l’interscambio<br />
italiano è tradizionalmente legato, segna il passo”, mentre cresce il settore dei servizi,<br />
particolarmente quello informatico, per cui mutano le priorità del paese e si riducono<br />
i settori nei quali l’Italia presenta vantaggi comparati o nei quali le conviene<br />
investire. Infatti, è l’India che comincia a investire in Italia. La FIAT aveva cercato<br />
di rientrare nel mercato indiano lanciando nel 1996 la Uno, ma il progetto non funzionò<br />
e “la FIAT rientrerà nel mercato indiano solo qualche anno dopo con<br />
l’accordo con il colosso locale Tata Motors”. S’insediano bene, invece, la Perfetti,<br />
la STMicroelectronics, e Bonfi<strong>gli</strong>o e Graziano Trasmissioni. Nel 2003 “la presenza<br />
italiana in India è costituita da quasi un centinaio di imprese”, il 40% delle quali con<br />
insediamenti produttivi. Con oltre il 30% delle aziende, il settore meccanico è quello<br />
numericamente più importante, seguito da tessile e da beni di consumo (10% ciascuno)<br />
(Mezzetti, 2009: 42-43). Ad ogni modo, dopo essere “stata in prima fila lungo<br />
la prima fase dell’industrializzazione del paese”, l’Italia si ritrovava, commenta<br />
Armellini (2008: 304), “in una posizione di comprimario sempre meno rilevante”.<br />
Per fortuna, l’accelerazione <strong>della</strong> crescita dell’economia indiana ha rinfocolato<br />
l’interesse italiano tanto che nel biennio 2003-2004, il numero delle imprese italiane si<br />
è quasi triplicato, avvicinandosi alle trecento unità e, cosa più importante, è cresciuto<br />
il numero di aziende che producono o intendono produrre sul posto ed è aumentata<br />
anche la presenza di Pmi – per ora non più del 20% delle imprese italiane investitrici<br />
in India –, ma “le presenze strettamente produttive sono poco meno di un centinaio”.<br />
Secondo la Banca dati del Politecnico di Milano-ICE, il numero delle multinazionali<br />
italiane presenti in India è passato da 208 nel 2003 a 304 nel 2009, il numero dei loro<br />
addetti da 14 mila a 16 mila e il fatturato da € 1,1 miliardi €1,6 miliardi.<br />
Il settore più rappresentato è quello <strong>della</strong> meccanica con circa un terzo delle presenze<br />
produttive, seguito da tessile abbi<strong>gli</strong>amento con il 16% delle presenze – tra le<br />
quali si trovano sia Pmi sia grandi gruppi come Benetton – e l’automotive con il<br />
12,5%. De<strong>gli</strong> investimenti italiani solo pochi superano i cento milioni di euro – settore<br />
automotive e forse quello <strong>della</strong> meccanica –, per cui hanno una dimensione abbastanza<br />
modesta. Ma anche le imprese di maggiore dimensione sembrano “rispon-<br />
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