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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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La “grande Potenza povera”<br />

Anche la struttura delle importazioni non è proprio tipica di un PVS, caratterizzata<br />

com’è da un’elevata presenza di merci ad alta intensità di lavoro non qualificato.<br />

Infatti, mentre i beni primari rappresentano il 37% delle sue importazioni, i beni<br />

capitali sono solo il 15% e ancora meno la quota di parti e componenti nelle importazioni<br />

come nelle esportazioni. Questa struttura differisce sensibilmente da quella<br />

cinese: infatti, mentre <strong>gli</strong> acquisti per macchinari e mezzi di trasporto rappresentano<br />

il 19% delle importazioni indiane, in quelle cinesi raggiungono il 46% (2004). Dal<br />

che Chiarlone (2008: 63) conclude che la riforma <strong>della</strong> politica commerciale non<br />

sembra abbia “avuto ripercussioni significative sul modello di specializzazione indiano:<br />

la struttura settoriale del commercio estero rimane basata su prodotti semplici<br />

e scarsamente differenziati”.<br />

Attualmente, un 40% circa dell’economia dell’India risulta esposta al commercio<br />

internazionale (Bahl, 2010: 5) e la sua quota del commercio mondiale di beni è passata<br />

dallo 0,5% nel 1990 all’1% nel 2005, anno in cui quella dei servizi ha raggiunto<br />

il 2,5% (Panagariya, 2008: 260-61).<br />

Dal 1980 la bilancia delle partite correnti indiana ha mantenuto un modesto disavanzo,<br />

mentre le misure di liberalizzazione sono state accompagnate da “una modifica<br />

graduale e prudente del regime di cambio <strong>della</strong> rupia”, la cui convertibilità fu<br />

nel 1994 concessa per le operazioni correnti e solo più tardi estesa anche alle operazioni<br />

di capitale. In questo modo la “Reserve Bank of India” (RBI), cioè la Banca<br />

centrale indiana, cerca di controllare l’inflazione interna, variando il livello dei tassi<br />

d’interesse e il volume <strong>della</strong> massa monetaria e allo stesso tempo mantenere un<br />

cambio abbastanza competitivo per equilibrare a medio termine la bilancia dei pagamenti<br />

(Boillot, 2007: 97-99). I piani per introdurre la completa convertibilità <strong>della</strong><br />

rupia furono congelati dall’arrivo <strong>della</strong> crisi asiatica, ora sono stati ripresi ma non<br />

ancora attuati. Frattanto la Cina ha proposto all’India l’interscambio diretto rupiayuan<br />

senza passare per il dollaro, interscambio diretto che, con l’“accordo di Natale”<br />

del 2011, si apprestano a fare Cina e Giappone 37 .<br />

Il ruolo dell’India sui mercati internazionali di merci resta ancora modesto, a<br />

causa anche del limitato peso del settore manifatturiero rispetto al PIL. Ma il paese<br />

appare molto più aperto se alle merci si sommano i servizi – un settore che rappresenta<br />

più di un terzo delle esportazioni di merci. Ma forse l’aspetto più interessante<br />

del commercio indiano è che esso, commenta Wolf (2010: 377), si svolge principalmente<br />

con paesi molto lontani. Nel 2006 il 21% delle merci indiane è stato diretto<br />

all’UE, il 15% a<strong>gli</strong> USA, il 10% a<strong>gli</strong> Emirati Arabi Uniti, il 7% alla Cina e il 5% a<br />

Singapore (in gran parte per essere riesportate all’ASEAN). Lo stesso accade per le<br />

importazioni.<br />

La liberalizzazione commerciale ha certamente aiutato alcuni settori, sia nella<br />

manifattura come nei servizi, nei quali l’India è internazionalmente competitiva, settori<br />

che usano intensamente manodopera relativamente qualificata, e ha creato così<br />

sacche di benessere. Le piccole e medie imprese (Pmi) hanno invece subito la concorrenza<br />

di importazioni di beni simili prodotti all’estero con metodi che utilizzano<br />

37 “Non è (ancora) la detronizzazione del dolaro dal suo ruolo di valuta di riserva mondiale”,<br />

ma l’intesa di Natale è sicuramente “destinata a rafforzare l’immagine di un’Asia<br />

sempre più autonoma e con una forte capacità d’attrazione” e a evidenziare la “crescente<br />

convergenza d’interessi in campo commerciale e finanziario” tra Cina e Giappone, nonostante<br />

essi siano divisi da dispute territoriali che spesso tornano a infiamare le rispettive<br />

opinioni pubbliche (Gaggi, 2011).<br />

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