L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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L’India e i suoi “vicini”<br />
aggredire qualche paese vicino o la stessa India. Quindi, ponendo un freno<br />
all’espansione cinese, l’India potrebbe alla fine contribuire a stabilizzare il sistema<br />
globale. Per ora il paese sta reagendo alla crescente influenza cinese adottandone il<br />
modus operandi. Infatti, ha cominciato a trattare direttamente con la giunta militare<br />
birmana senza sollevare il problema dei diritti umani.<br />
L’intervento americano in Afghanistan e la lotta al terrorismo hanno permesso la<br />
riapertura del dialogo tra India e Pakistan sulla questione del Kashmir e di conseguenza<br />
un mi<strong>gli</strong>oramento dei rapporti indo-cinesi. Ultimamente la cooperazione si è andata rafforzando,<br />
sia sul piano commerciale che su quello politico e i due paesi hanno siglato, fra<br />
l’altro, intese di cooperazione concernenti tecnologie dual use (cioè a uso sia militare sia<br />
civile), nucleare civile e settore aerospaziale (Casarini, 2008: 8). Inoltre, India e Cina<br />
hanno fatto reciproche concessioni sulle aree disputate 26 . La svolta importante nei loro<br />
rapporti si ebbe con la visita a Beijing del Primo ministro Vajpayee nel giugno 2003. Per<br />
la prima volta, i due paesi firmarono una “Declaration on Principles for Relations and<br />
Comprehensive Cooperation” che sottolineava come i loro interessi comuni fossero più<br />
importanti delle loro differenze. L’India riconobbe la sovranità cinese sul Tibet e la Cina<br />
accettò di fatto quella indiana sul Sikkim quando accettò di riaprire, dopo 44 anni, la<br />
frontiera del Sikkim – che solo dal 2004 le mappe cinesi cominciarono a riportare come<br />
parte dell’India. Infatti, la strada che attraversa questa frontiera (riaperta solo nel 2006) a<br />
Nathu-La, il passo storico <strong>della</strong> Via <strong>della</strong> Seta, doveva collegare la ferrovia del Tibet,<br />
allora ancora in costruzione, con il sistema di comunicazione terrestre indiano, aprendo<br />
al commercio tutto il nord-est dell’India. Collegando questa strada con la Renqinggang–<br />
Changgu che <strong>gli</strong> indiani stavano costruendo in Myanmar, sarebbe stato possibile “inserire<br />
i paesi dell’ASEAN nel nuovo circuito commerciale sino-indiano”. Oltre che maggiore<br />
commercio bilaterale, l’apertura di Nathu-La rappresenta anche un mutuo incentivo a<br />
sviluppare il sistema infrastrutturale del nordest indiano in modo da offrire uno sbocco al<br />
mare via Calcutta alle province cinesi che ne sono prive. Infatti, la Cina promise investimenti<br />
per $500 milioni per la costruzione di infrastrutture in India (Torri, 2004: 92),<br />
maggiore cooperazione nel settore petrolifero, creazione di un fronte comune per la lotta<br />
al terrorismo ed espansione dell’interscambio.<br />
Subito dopo la visita di Vajpayee, però, truppe cinesi penetrarono nell’Arunachal<br />
Pradesh, territorio che Beijing non riconosce come parte dell’India. È chiaro, quindi, che<br />
in entrambi i paesi i sospetti restano, quelli indiani forse un po’ più giustificati. Infatti, lo<br />
sviluppo dei porti di Sittwe in Myanmar, di Hambantola in Sri Lanka e di Marao nelle<br />
Maldive, unito alla forte presenza cinese nel porto di Gwadar, nel Belucistan pakistano, e<br />
al progressivo aumento de<strong>gli</strong> scambi commerciali con l’Asia meridionale, dimostrano la<br />
crescita dell’influenza cinese in tutti i paesi vicini e il conseguente accesso all’Oceano<br />
Indiano che ne deriva. Non deve meravi<strong>gli</strong>are, quindi, che l’India cominci a sentirsi accerchiata<br />
proprio in quello che essa considera una sorta di “Mare Nostrum”.<br />
Il riavvicinamento fra New Delhi e Beijing, già turbato dalle infiltrazioni<br />
nell’Arunachal Pradesh, subì un ulteriore arresto quando l’India accettò l’offerta di<br />
26 Frattanto, anche l’opinione pubblica indiana ha cominciato a riconsiderare il principio<br />
dell’intangibilità delle frontiere, perché (i) non si può continuare a pretendere di “imporre<br />
unilateralmente, in base ad argomentazioni storiche assai dubbie, una linea di frontiera<br />
che non era mai esistita prima”; (ii) gran parte dei territori contesi sono scarsamente abitati,<br />
privi di risorse naturali e ormai di scarsa importanza strategica; e (iii) difficilmente sarà<br />
possibile accettare bilateralmente una situazione che non sia quella “ormai determinata<br />
sul terreno nel corso de<strong>gli</strong> ultimi quarant’anni” (Torri, 2004: 93).<br />
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