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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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Conclusioni<br />

potrebbe mettere a rischio la stessa crescita economica e conseguentemente la possibilità<br />

di diventare una grande potenza.<br />

Sintetizzando, Mehra (2007: 7-8) divide la popolazione indiana di un miliardo<br />

circa in tre gruppi: 400 milioni di analfabeti, 400 milioni di semi alfabeti e i restanti<br />

200 milioni con scolarizzazione secondaria e post secondaria, quella in grado di ottenere<br />

i maggiori benefici dalla crescita dei servizi. Questo contrasta con la situazione<br />

in Cina, dove la manifattura esercita un importante ruolo e anche i semi alfabeti<br />

condividono i benefici dell’espansione di questo settore. Il modello di crescita indiano<br />

sta quindi generando un’asimmetria nella distribuzione <strong>della</strong> ricchezza con<br />

conseguenti implicazioni per la stabilità sociale, come mostrano i risultati elettorali<br />

nei vari stati nei quali prosperano i servizi, ma aumentano anche le attività naxalite.<br />

Dall’altra parte, però, il senso <strong>della</strong> possibilità di farcela e le crescenti aspirazioni<br />

sono le nuove forze unificanti del paese e sono quelle che determineranno la direzione<br />

del sistema politico e delle politiche indiane. Queste aspirazioni agitano classi<br />

e caste, città e campagna e non si manifestano solo come rispetto per il successo e il<br />

desiderio di una vita mi<strong>gli</strong>ore, ma anche come una fede senza precedenti nella possibilità<br />

di tale vita, qualunque sia il proprio stato sociale ed economico (Nilekani,<br />

2009: 25). Un risve<strong>gli</strong>o di aspirazioni che Jagdish Bhagwati ha chiamato la<br />

Revolution of Perceived Possibilities. Non mancano, quindi, quelli che, in India e<br />

fuori, vedono il paese come uno dei potenziali motori dell’economia internazionale<br />

nei prossimi decenni e come una delle maggiori potenze capaci di influire sensibilmente<br />

sulla bilancia globale del potere.<br />

Il problema è che “con l’India ‘potenziale’ è sempre una parola chiave” (Luce,<br />

2009: 1), perché esiste il pericolo che il potenziale resti tale e che, in altre parole, il<br />

paese continui a deludere fortemente. Per prima cosa, l’India non può pensare di risolvere<br />

i suoi problemi diventando un’economia dei servizi, perché una popolazione<br />

di quelle dimensioni ha bisogno di un tale numero di posti di lavoro che il settore dei<br />

servizi è sicuramente incapace di fornire, e una gran massa di disoccupati e lavoratori<br />

stagionali è inaccettabile per l’instabilità che comporta (Nilekani, 2008: 312-13).<br />

Indubbiamente, al diffondersi di queste aspirazioni ha certamente contribuito il<br />

successo <strong>della</strong> diaspora indiana, e Khanna (2005: 25-26) forse esagera quando arriva<br />

a sostenere che oggi l’India può “reclamare lo status di “grande potenza” per il contributo<br />

dei suoi cittadini al mi<strong>gli</strong>oramento del benessere e alla promozione <strong>della</strong> conoscenza<br />

nel mondo”. Ma se le “intraviste possibilità” di cui parla Bhagwati resteranno<br />

tali, la speranza e l’ottimismo che sono sul punto di trasformare profondamente<br />

il subcontinente, potrebbero mutarsi rapidamente in un rabbioso rifiuto di stato e<br />

mercato oppure, anche se appare meno probabile, la delusione potrebbe respingere<br />

le masse nell’apatia e nella rassegnazione che hanno dominato parte <strong>della</strong> lunga storia<br />

indiana. Reazione contro lo stato e contro il mercato, perché il capitalismo indiano<br />

è dominato dallo stato che controlla il settore finanziario e quello dell’energia –<br />

alle cui imprese va il 40% dei profitti <strong>della</strong> borsa – e dalle conglomerate familiari, i<br />

cui interessi sono spesso sostenuti da un sistema politico corrotto e incapace di affrontare<br />

i più gravi problemi del paese. Perfino, il settore più dinamico e innovatore<br />

come i servizi mostra – nota lo “Special Report” del The Economist (22.102011) –<br />

segni di stanchezza e comincia ad assumere alcune delle caratteristiche tipiche del<br />

sistema industriale tradizionale indiano.<br />

Anche Rajan (2008) ha lanciato un grido di allarme sostenendo che l’India sta<br />

entrando nel periodo più critico <strong>della</strong> sua storia e che i prossimi dieci anni decideranno<br />

se il paese è capace di passare dalla povertà a una moderata prosperità in un<br />

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