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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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La “grande Potenza povera”<br />

ti il 24% circa nel settore manifatturiero, mentre il 38% delle donne era occupato in<br />

“servizi vari”, il 28% nella manifattura e il 15% in agricoltura. Il tasso di disoccupazione<br />

generale era dell’8%, ma nelle aree rurali quello maschile era 9% e quello femminile<br />

8%, mentre nelle aree urbane quello maschile era 7% e quello femminile 10%.<br />

I giorni senza lavoro per persona nelle aree urbane e in quelle rurali per le donne era<br />

36% e 19% e per <strong>gli</strong> uomini rispettivamente 11% e 5%.<br />

Per semplificare Biggeri (2007: 4) divide la forza lavoro indiana in tre gruppi: (i)<br />

il 60% circa sono lavoratori rurali che operano nell’agricoltura e nelle industrie rurali;<br />

(ii) il 9% sono lavoratori organizzati del settore formale; e (iii) il restante terzo<br />

opera nel settore urbano non organizzato. Dal 1977 al 2006 la forza lavoro è cresciuta<br />

da 276 a 509 milioni. Più del 90% <strong>della</strong> forza lavoro opera nel settore non organizzato,<br />

come lavoratori autonomi (self-employed) o salariati saltuari, contribuendo<br />

circa una metà del PIL nazionale, al quale il settore informale non agricolo contribuisce<br />

il 31.5% – vedi Tabella 1.9 –, mentre partecipa con il 62% al prodotto del settore.<br />

Un terzo delle fami<strong>gli</strong>e rurali è composto da salariati agricoli. In termini di settori<br />

produttivi, nel 2006 la forza lavoro era così distribuita: 60% in agricoltura, 12%<br />

in industria e 28% nei servizi.<br />

Tabella 1.9 - Stime del contribuito al PIL del settore formale e informale. 2004-05<br />

Settori Informale Formale Totale<br />

Agricoltura 94,50 5,52 100,00<br />

Industria 28,90 71,10 100,00<br />

Servizi 44,70 53,30 100,00<br />

Totale 50,60 49,40 100,00<br />

Fonte: Biggeri (2007: 7 Tab. 1)<br />

Oltre la notevole dimensione dell’informalità, questo settore presenta caratteristiche<br />

peculiari, a cominciare dal fatto che quello del lavoro, organizzato e a contratto,<br />

è l’unico mercato nazionale che esista in India e che spesso non esiste un rapporto<br />

diretto con il datore di lavoro, ma agiscono come intermediari “caporali” che trattengono<br />

una parte dei salari. Questa insicurezza ritarda il trasferimento delle fami<strong>gli</strong>e<br />

in città e rallenta il tasso d’urbanizzazione. Inoltre, secondo Biggeri (2007: 4-5),<br />

lo sviluppo del settore informale è caratterizzato da due distinti processi: un processo<br />

dal basso: creazione di attività informali dovuta a una crescita demografica superiore<br />

alla capacità di creare posti di lavoro formali, e un processo dall’alto: informalità<br />

generata dalle imprese formali tramite sub-fornitura per contenere i costi e restare<br />

competitive nel mercato interno come in quello mondiale, ma anche dalle politiche<br />

di liberalizzazione che, riducendo <strong>gli</strong> apparati statali e privatizzando le imprese<br />

pubbliche, liberano manodopera e, deregolando il mercato del lavoro, contribuiscono<br />

a peggiorare le relazioni di lavoro e, conseguentemente, a favorire<br />

l’outsourcing 60 .<br />

60 Questi processi a loro volta evidenziano tre effetti del commercio globale e del tipo<br />

d’investimento: (a) vengono penalizzati a favore delle grandi imprese in grado di spostarsi<br />

da un paese all’altro il lavoro, specialmente quello meno qualificato, e le piccole e medie<br />

imprese, che sono meno informate e hanno maggiori difficoltà ad accedere al credito e ai<br />

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