L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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Conclusioni<br />
<strong>della</strong> “Shining India” che la pubblicità governativa si sforza di imporre. Anche il<br />
tanto discusso dividendo demografico, perché diventi un fattore positivo è necessario<br />
che si creino più e mi<strong>gli</strong>ori posti di lavoro. Invece finora l’occupazione non è<br />
aumentata nel settore organizzato, è leggermente diminuita nel settore pubblico e<br />
governativo, mentre è quella del settore privato ha appena colmato la differenza. Rajan<br />
(2008) attribuisce la scarsa crescita del settore organizzato, al suo essere eccessivamente<br />
protetto e regolamentato, per cui la creazione di posti di lavoro risulta poco<br />
conveniente. È quindi necessario, insiste Rajan (2008), che il mercato del lavoro diventi<br />
più flessibile, particolarmente per le industrie che utilizzano manodopera poco<br />
qualificata, come il tessile, <strong>altri</strong>menti queste imprese o saranno completamente automatizzate<br />
oppure impiegheranno esclusivamente lavoro temporaneo. Se “per proteggere<br />
alcuni lavoratori, si condanna la maggioranza di essi a un’esistenza totalmente<br />
non protetta, si realizza un chiaro caso di conseguenza non voluta”.<br />
Per cercare di assorbire il crescente numero di persone che l’agricoltura non riesce<br />
più a mantenere, oltre la flessibilità del mercato del lavoro è cruciale sviluppare<br />
un settore manifatturiero ad alta intensità di lavoro. Poiché ormai una notevole e crescente<br />
quota del commercio internazionale consiste di beni intermedi e semilavorati,<br />
l’assenza di un tale settore impedisce all’economia indiana di integrarsi con le altre<br />
economie asiatiche sempre più interconnesse tramite catene commerciale verticali<br />
alle quali ogni paese contribuisce secondo la sua specializzazione in uno o più stadi<br />
<strong>della</strong> sequenza produttiva di un dato bene. È così che la Cina ha integrato il proprio<br />
settore manifatturiero con le reti produttive globali, mentre la politica di sostituzione<br />
delle importazioni ha spinto l’India a processi e produzioni ad alta intensità di capitale<br />
e di lavoro qualificato, una tendenza difficile da rimuovere, senza riformare la<br />
legislazione del lavoro e quella fallimentare, ma anche senza ridurre le eccessive limitazioni<br />
a<strong>gli</strong> IDE. Sono stati, infatti, <strong>gli</strong> afflussi di IDE a integrare il settore manifatturiero<br />
cinese con le catene globali di produzione verticale, permettendo così alle<br />
multinazionali di collocare ogni stadio produttivo nel paese che può lavorarlo al minor<br />
costo possibile 3 . In India, invece, <strong>gli</strong> IDE sono stati essenzialmente orizzontali<br />
(market-seeking), piuttosto che verticali (export-promoting), contribuendo, quindi,<br />
solo il 10% circa delle esportazioni manifatturiere del paese. In India, la scarsa attrazione<br />
di IDE verticali è stata casata anche dal livello delle tariffe che, nonostante le<br />
riduzioni realizzate dopo il 1991, resta ancora relativamente alto, il che spinge i produttori<br />
esteri a investirvi per evitarle e restare competitivi sul mercato interno, senza<br />
però cercare mercati d’esportazione. Inoltre, infrastrutture inefficienti, regolamentazione<br />
gravosa e facilitazioni commerciali povere fanno lievitare i costi dello scambio,<br />
che invece è essenziale per <strong>gli</strong> IDE verticali (Choorikkadan, 2010).<br />
funzionari che inventando immaginari ‘lavoratori fantasmi’” si appropriano <strong>della</strong> paga loro dovuta.<br />
Lo stesso avviene con i sussidi in natura: senza documenti d’identità <strong>gli</strong> aventi diritti non<br />
possono richiederli e i distributori si arricchiscono inventando nomi fantasma. L’opposizione al<br />
progetto è guidata dal ministro de<strong>gli</strong> Interni e molti parlamentari, ma anche da vari intellettuali e<br />
alcune ONG che si appellano a questioni legali o di privacy. In realtà, l’opposizione è politica e<br />
“proviene da chi trae vantaggi dall’attuale sporco sistema” (TE, 14.01.12).<br />
3 Secondo il World Investment Report del 2003, <strong>gli</strong> IDE hanno contribuito a che le esportazioni<br />
manifatturiere cinesi aumentassero al ritmo annuo del 15% tra il 1989 e il 2001. Infatti,<br />
mentre nel 1989 avevano contribuito meno del 9% delle esportazioni totali cinesi, nel 2002 la<br />
loro partecipazione era salita al 50%.<br />
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