L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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La “grande Potenza povera”<br />
città, l’occupazione stagionale e il ricorso all’auto impiego (che ora interessa oltre il<br />
50% <strong>della</strong> popolazione attiva), in attività in genere relative al terziario; ed è, infine,<br />
aumentato l’indebitamento a usura e si è ridotta la scolarità infantile.<br />
Il problema, nota correttamente Adduci (2009: 74), non è “una mancata integrazione<br />
con il mercato, piuttosto, al contrario, il venir meno di una serie di meccanismi<br />
atti a mediare i rischi a questa collaterali, in specie per le componenti meno abbienti<br />
<strong>della</strong> popolazione”. Il risultato è l’affermarsi di una società rurale duale, o anche<br />
“predatoria” – vedi 7.3 – da una parte i capitalisti agrari e “coloro che detengono il<br />
controllo del credito a tassi da usura, dall’altra i coltivatori piccoli e marginali (oltre<br />
l’80% dei coltivatori) e il crescente numero dei lavoratori senza terra (oltre il 40%<br />
delle unità familiari rurali)” (Adduci, 2011a: 3). Allo stesso tempo, però, si è verificata<br />
anche “una diffusione di benessere”, perché la diversificazione del reddito rurale<br />
ha permesso all’economia nelle campagne di aumentare “a un tasso superiore a<br />
quello <strong>della</strong> crescita agricola e di poco inferiore a quello generale dell’economia”. In<br />
effetti, sono aumentate del 30-40% le sovvenzioni minime per i prezzi dei cereali;<br />
sono anche cresciute “le entrate extra-agricole dovute alle rimesse di parte <strong>della</strong> popolazione<br />
rurale che ha ottenuto lavoro nei centri urbani”; è aumentata la domanda<br />
di lotti per uso industriale, il che ha fatto lievitare il valore delle terre; nei villaggi si<br />
sta affermando la micro-imprenditorialità; e, infine, cominciano a funzionare “in<br />
certe regioni i programmi del governo centrale per garantire l’occupazione in settori<br />
alternativi o complementari all’agricoltura”. Di conseguenza, “ne<strong>gli</strong> ultimi dieci anni,<br />
il reddito pro capite nelle campagne è cresciuto del 50%175” (Mezzetti, 2009a:<br />
170). Il mercato rurale vale oggi $425 miliardi ($567 a testa) e rappresenta il 64%<br />
<strong>della</strong> spesa e il 33% del risparmio del paese.<br />
Temendo che la stagnazione agricola metta a rischio la sicurezza <strong>della</strong> bilancia<br />
alimentare del paese, il governo sta discutendo sulla necessità di lanciare una seconda<br />
“Rivoluzione verde” e nel 2008 ha adottato “una misura storica senza precedenti”<br />
stanziando più di €10 miliardi per sanare il debito de<strong>gli</strong> agricoltori (Mezzetti, 2009c:<br />
301), che però riguarda solo chi è indebitato con le banche, non con <strong>gli</strong> usurai. Il rinato<br />
interesse del governo per il settore agricolo è anche dettato dal fatto che la crisi<br />
agraria e l’accelerazione dello sfruttamento delle risorse naturali di alcune delle zone<br />
rurali più arretrate sta contribuendo al diffondersi <strong>della</strong> rivolta e <strong>della</strong> guerri<strong>gli</strong>a naxalita<br />
(vedi Approfondimento 3 a p. 51).<br />
Da tutto ciò è possibile sostenere che l’attuale crisi agraria indiana è strettamente<br />
connessa con le scelte di politica economica prese a partire dall’inizio de<strong>gli</strong> anni ’90.<br />
In un paese come l’India, l’agricoltura non può farcela senza un sostanziale sostegno<br />
dello stato, sostegno che le politiche neoliberiste rendono impossibile. Ed è proprio<br />
l’impatto negativo di queste scelte su occupazione, indebitamento, accesso alla terra,<br />
ecc., che sta seriamente e ulteriormente riducendo il benessere dei contadini e dei<br />
braccianti.<br />
Purtroppo non è facile immaginare un modello economico rurale che riesca a mantenere<br />
i 750 milioni di indiani che vivono nei villaggi in condizioni di sicurezza e di<br />
mi<strong>gli</strong>oramento sociale. Molti, troppi, andrebbero via se ci fossero lavori sicuri nelle<br />
grandi città, dove però perderebbero le loro abilità, conoscenze e tradizioni e diventerebbero<br />
minuscole parti di enormi ingranaggi. Ecco quindi perché cresce il numero di<br />
chi predica, forse invano, la resistenza alla modernità e all’urbanizzazione.<br />
Bahl (2010: 139) è più ottimista e sottolinea che “la connettività stradale e telefonica<br />
è mi<strong>gli</strong>orata in maniera fenomenale”, che “contrariamente a quanto comunemente<br />
si creda, quasi la metà di tutti i redditi rurali non sono più agricoli” e che “le<br />
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