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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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La “grande Potenza povera”<br />

componentistica per le auto, elettronica e industria farmaceutica, ma anche alluminio<br />

e acciaio – due settori nei quali l’India vanta i più bassi costi al mondo –, cemento e<br />

petrolchimici. Resta da dire, però, che nonostante la produzione di manufatti, beni<br />

d’investimento e di consumo, sia notevolmente aumentata, è rimasta inferiore al tasso<br />

di crescita delle importazioni, l’85% delle quali sono proprio manufatti (Prasenjit<br />

Basu, 2005: 55). A livello macroeconomico, la crescita dell’intero settore industriale<br />

appare chiaramente insoddisfacente, essendo passata dal 6,8% nel 1981-91 al 6,4%<br />

nel 1991-01. Anche la quota dell’occupazione restò stabile attorno al 12,5% fino al<br />

1991, quando iniziò a salire per arrivare a quasi il 20% nel 2004. L’aumento fu dovuto<br />

per circa metà all’edilizia e per l’altra metà al manifatturiero che, però, rappresentava<br />

solo il 13% dell’occupazione totale (Boillot, 2007: 51-52) e nel 2000 contribuiva<br />

solo il 14,7% del PIL, mentre il contributo dell’intero settore industriale era il<br />

25% – vedi Tabella 1.4 – (Bosworth et al., 2007: 12).<br />

Secondo Bhalla (2010: 42) le misure che influenzano crucialmente la produzione<br />

industriale sono quelle che assicurano tassi di cambio e d’interessi reali competitivi.<br />

Molti <strong>altri</strong>, però, sono i fattori che hanno impedito a questo settore di crescere più<br />

rapidamente: tasso di alfabetizzazione tra i più bassi dell’Asia orientale – per <strong>gli</strong> adulti<br />

è 65% –; produttività media de<strong>gli</strong> addetti non specializzati più bassa di quella<br />

cinese e vietnamita; leggi sul lavoro restrittive e farraginose; fornitura energetica cara<br />

e inaffidabile; infrastrutture stradali e portuali in pessime condizioni; e burocrazia<br />

estremamente lenta e corrotta. Questi fattori contribuirono a contenere la quota di<br />

partecipazione del settore nel PIL nazionale, ma apparentemente non impedirono<br />

che ne<strong>gli</strong> anni ’90 iniziasse una notevole trasformazione strutturale dell’industria,<br />

processo che vide un aumento annuo dell’8% del valore aggiunto lordo del settore<br />

manifatturiero organizzato, accompagnato però da una diminuzione dell’occupazione<br />

dell’1,5% l’anno nel periodo 1995-2003. Il valore aggiunto lordo crebbe ancora<br />

di più, 20% l’anno, nel periodo 2004-09 quando anche l’occupazione aumentò annualmente<br />

del 7,5% (Mohanty, 2011: 2). Quattro sono le produzioni più importanti e<br />

in crescita del settore manifatturiero indiano: auto e componenti, telefonia mobile,<br />

tessile e prodotti farmaceutici, settore che nel 2015, secondo Rajan e Rongala (2006:<br />

5), potrebbe esportare beni per $300 miliardi.<br />

Nel 2009, il settore industriale ha contribuito il 27% del PIL (EIU, 2011: 17), ma<br />

essendo dominato da imprese di grandi dimensioni, la percentuale <strong>della</strong> popolazione<br />

attiva che riesce a occupare cresce poco. Il settore manifatturiero formale/organizzato<br />

nel 2005 impiegava circa sette milioni di persone, contro i cento milioni <strong>della</strong> Cina,<br />

come conseguenza <strong>della</strong> scelta nerhuviana di privilegiare la produzione ad alta intensità<br />

di capitale per sviluppare me<strong>gli</strong>o le capacità tecnologiche del paese, per cui la qualità<br />

dei prodotti di questo settore può spesso superare quella cinese (Luce, 2010: 49-50).<br />

All’influenza di Nehru sono, però, dovute anche le ferree leggi sul lavoro esistenti in<br />

India, il che spiega la riluttanza delle imprese ad assumere un maggiore numero di persone.<br />

Per quanto concerne i piccoli produttori, l’assorbimento <strong>della</strong> manodopera è stato<br />

modesto poiché la deregolamentazione e la privatizzazione hanno reso loro difficile<br />

competere con la grande industria ed espandere la produzione.<br />

Nonostante la privatizzazione, l’industria pubblica raggruppa il 5% delle imprese<br />

– particolarmente nei settori dell’acciaio, petrolchimica e telecomunicazioni – e quasi<br />

la metà del capitale industriale. La maggior parte dei grandi gruppi familiari tradizionali<br />

si è rivelata incapace di reggere la concorrenza di una nuova generazione di<br />

gruppi familiari, di gruppi stranieri e di joint ventures. Tra le grandi imprese i gruppi<br />

familiari continuano a predominare, obbligati però dalla concorrenza “a concentrarsi<br />

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