L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
La “grande Potenza povera”<br />
chero e cotone e il terzo di cereali (riso, mais e mi<strong>gli</strong>o-sorgo), verdure e uova ed è la<br />
quarta potenza agricola, dopo Cina, Russia e USA (Boillot, 2007: 53). Ha inoltre la<br />
più grande superficie di terreni irrigui e il maggior numero di capi d’allevamento al<br />
mondo. Ne<strong>gli</strong> ultimi due decenni è riuscita a raggiungere l’autosufficienza alimentare<br />
ed è diventata un esportatore netto di prodotti alimentari ed è il maggiore esportatore<br />
di tè e spezie, il secondo di riso e canna da zucchero e il settimo di grano.<br />
Al momento dell’indipendenza, l’85% <strong>della</strong> popolazione lavorava nell’agricoltura<br />
e nelle occupazioni a questa correlate, ma già dall’inizio del secolo il settore era<br />
in profonda stagnazione. La concentrazione <strong>della</strong> terra era insostenibile: il 5% delle<br />
fami<strong>gli</strong>e più ricche possedeva il 41% dei terreni, mentre il 61% delle fami<strong>gli</strong>e più<br />
povere ne possedeva solo l’8%, per cui la nazione indiana nasceva con “la questione<br />
agraria forse più refrattaria del mondo” (Adduci, 2009: 19 e 17) e forse la più urgente,<br />
se Nerhu pensava che in India “tutto può attendere, salvo l’agricoltura”. Ma, in<br />
realtà, nell’era di Nehru l’agricoltura fu trascurata (Rothermund, 2008: 123).<br />
Le politiche agricole post indipendenza mirarono principalmente ad aumentare le<br />
superfici coltivate, ma il fallimento dei tentativi di riforma agraria “si è tradotto in<br />
un aumento delle terre marginali poco fertili, scarsamente compensato dal lento progresso<br />
dell’irrigazione”. La crisi agricola del 1965-66, però, affrettò il passo <strong>della</strong> “Rivoluzione<br />
verde” e fece dell’autosufficienza l’obiettivo centrale delle politiche economiche,<br />
introducendo sementi ad alto rendimento, cambiamenti nell’irriga-zione, utilizzo<br />
di fertilizzanti chimici, strumenti per lo stoccaggio, anche a livello nazionale, e per<br />
la distribuzione, creando istituzioni di credito rurale, attuando politiche di sostegno dei<br />
prezzi e distribuendo sovvenzioni. Tutte queste misure contribuirono a stabilizzare le<br />
estensioni delle superfici coltivate e ad aumentare i rendimenti (Boillot, 2007: 54-56).<br />
Dato che la produzione di cereali era inferiore alla domanda interna, il governo fu costretto<br />
a destinare all’agricoltura il 15% e il 12% de<strong>gli</strong> investimenti, rispettivamente<br />
nella prima e nella seconda metà de<strong>gli</strong> anni ’50, per costruire le necessarie infrastrutture<br />
d’irrigazione, realizzare la riforma agraria attribuendo la terra a coloro che la coltivavano,<br />
imporre limiti alle proprietà terriere e stabilire un salario minimo per i lavoratori<br />
agricoli. Furono anche create istituzioni per fornire credito a questo settore e per<br />
promuovere il movimento cooperativo. In questo modo, ne<strong>gli</strong> anni ’50 la superficie<br />
irrigata aumentò del 36% e il consumo di fertilizzanti del 318%; si raddoppiò il numero<br />
delle cooperative, nacquero fabbriche cooperative per la produzione di zucchero e la<br />
produzione agricola aumentò del 41%, e quella dei cereali 46%.<br />
Iniziata prima di quella cinese, in India la “Rivoluzione verde” (1966-79) si rese<br />
necessaria a causa delle terribili carestie del 1965-66 nel tentativo di ridurre la dipendenza<br />
dai fenomeni monsonici, ma anche per far fronte ai modesti risultati conseguiti<br />
dalla riforma agraria. Si permise così alle aree agricole più produttive (storicamente<br />
anche le me<strong>gli</strong>o irrigate) di utilizzare semenza di varietà altamente produttive<br />
(HYV) e di accedere più facilmente all’acqua, ai fertilizzanti e al credito. Tuttavia,<br />
la “Rivoluzione verde”esercitò sull’economia indiana un impatto inferiore di<br />
quello che invece ebbe in Cina, perché coincise con un periodo di prezzi petroliferi<br />
in crescita e beneficiò solo determinate aree geografiche – principalmente Punjab,<br />
Haryana e la parte occidentale dell’Uttar Pradesh – dove le strutture agrarie erano<br />
più adatte a recepirla. In seguito, ne<strong>gli</strong> anni ’80, anche il Bengala occidentale, sotto<br />
la guida del Fronte di Sinistra, riuscì a realizzare la riforma agraria e ad accrescere<br />
notevolmente la produttività (Prasenjit Basu, 2005: 32).<br />
Basata essenzialmente sull’uso di semi ad altra produttività creati in laboratorio e<br />
sull’impiego di fertilizzanti chimici, la “Rivoluzione verde” richiedeva sia un siste-<br />
79