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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />

– o dipende dalla domanda di una classe medio-alta emergente per auto, abitazioni,<br />

grande distribuzione organizzata. Poiché questi settori emergenti hanno scarsa incidenza<br />

sul PIL e sull’occupazione, non meravi<strong>gli</strong>a che la crescita abbia finora avvantaggiato<br />

principalmente il lavoro altamente qualificato, piuttosto che le masse analfabete<br />

e, secondo Mezzetti (2009a: 153), il 90% <strong>della</strong> forza lavoro non ha partecipato<br />

alla crescita economica e salariale dei settori emergenti. Dopo un lungo periodo caratterizzato<br />

dalla diminuzione de<strong>gli</strong> investimenti pubblici, questi sono tornati a crescere<br />

dal 2003-04, insieme a quelli privati e al credito bancario, probabilmente dovuto alla<br />

riduzione del tasso d’interesse, alle varie iniziative per fare affluire il credito al settore<br />

agricolo e a una forte domanda per le abitazioni (Rakesh Mohan, 2008: 14-15). Alla<br />

ricerca e sviluppo (R&S) l’India dedica meno dell’1% del PIL, meno de<strong>gli</strong> <strong>altri</strong> BRIC,<br />

ma è all’avanguardia nella cosiddetta “innovazione frugale”, cioè “una strategia di sviluppo<br />

di prodotti che cerca di limitare al massimo la complessità, per adattare il risultato<br />

alle caratteristiche dell’utente (generalmente povero) e del contesto (per esempio,<br />

l’accesso sporadico alle infrastrutture elettriche), come la Nano, il Mac 400 e una serie<br />

di prodotti che utilizzano il bambù” (Godstein, 2011: 90, Tab. 5.1. e 98-99).<br />

La società indiana sta subendo profondi cambiamenti che in soli quindici anni<br />

hanno “spazzato via una larga parte di ciò che restava dei comportamenti e valori<br />

tradizionali”, e oggi “si trova ad affrontare tensioni e un potenziale conflitto, aspetti<br />

sconosciuti nell’India tradizionale”. E questo mentre si sta verificando “la drastica<br />

riduzione <strong>della</strong> capacità del governo centrale di svolgere il ruolo di arbitro, di prendere<br />

le decisioni difficili e, laddove occorra, di intraprendere le azioni coercitive necessarie<br />

per risolvere i problemi”. Con la fine del predominio dell’INC, dal 1990<br />

nessun governo è stato più formato da un partito con una maggioranza assoluta in<br />

parlamento e con l’affermarsi di coalizioni instabili e mutevoli, il governo federale<br />

“ha perso il controllo sulla definizione e l’attuazione delle politiche nazionali” economiche<br />

e sociali. A questo ha anche contribuito la contestualità nel 1971 delle elezioni<br />

centrali con quelle statali, per cui i membri dei governi di coalizione a New<br />

Delhi, sottolinea Jha (2010: 390-91 e 393-94) “non sono mai liberi dai condizionamenti<br />

<strong>della</strong> campagna elettorale”, mentre “la coincidenza tra le riforme economiche<br />

e il rapido indebolimento del governo centrale ha trasferito ai governi dei singoli stati<br />

buona parte del potere di avviare <strong>gli</strong> investimenti industriali”, in quanto sono i governi<br />

statali che controllano l’accesso alla terra, all’energia e ai sistemi di trasporto.<br />

1.1.2 Agricoltura<br />

Il settore agricolo indiano occupa la seconda superficie coltivata al mondo (190 milioni<br />

di ettari, pari al 60% del territorio) dopo <strong>gli</strong> USA e impegna attivamente il 60%<br />

circa <strong>della</strong> popolazione – quella rurale è pari a circa il 70% <strong>della</strong> totale. L’India è il<br />

primo produttore mondiale di latte 21 , tè e spezie, il secondo di frutta, canna da zuc-<br />

21 Questo risultato è attribuito alla cosidetta “Rivoluzione bianca”, avviata nel 1970, che<br />

permette all’India di produrre più di 100 milioni di tonnellate di questo importante ingrediente<br />

<strong>della</strong> dieta vegetariana seguita da moltissimi cittadini. Il 46% di questa produzione<br />

è consumato come prodotto liquido, il 47% è convertito in burro o prodotti caseari tradizionali<br />

locali, mentre il restante 7% è destinato a prodotti caseari di tipo occidentale o latte<br />

in polvere. Più <strong>della</strong> metà <strong>della</strong> produzione di latte è controllata dal settore cooperativo<br />

e la disponibilità varia molto da regione a regione (Mezzetti, 2009c: 297).

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