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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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La politica estera indiana e la governance globale<br />

monico, perché è quello che le permette di massimizzare la propria autonomia. Rispetto<br />

a una Cina affermata potenza regionale – con ambizioni globali – “volta al<br />

mantenimento dello status quo in Asia e pertanto orientata a sabotare l’emersione<br />

dell’India”, questa “tende, nel lungo periodo a essere una potenza revisionista e –<br />

come spesso accade per le potenze revisioniste che hanno bisogno di politicizzare il<br />

proprio revisionismo verso un Paese avversario – … tende a considerare Pechino<br />

come un potenziale pericolo per la propria sicurezza nazionale” (Mastrolia, 2011:<br />

219-20). La mancanza di volontà da parte cinese a raggiungere una sistemazione dei<br />

confini non fa che confermare i timori indiani per le intenzioni cinesi e giustificare<br />

la crescente spesa militare a discapito di quella sociale.<br />

Le contraddizioni che contrassegnano tanti aspetti <strong>della</strong> politica estera, e non solo,<br />

dell’India derivano dalla sua convinzione di essere portatrice in campo internazionale<br />

di un superiore sistema valoriale altamente morale, ma anche “dalla tendenza<br />

alla sopravvalutazione delle proprie capacità e risorse” (Armellini, 2008: 184). In<br />

effetti, anche se l’India dichiara di preferire la “moralpolitik”, il contrario <strong>della</strong> politica<br />

del puro potere or “machtpolitik”, aspira in realtà ad accrescere il suo peso nella<br />

governance globale ed eventualmente a emergere come un “rule-maker” nel sistema<br />

internazionale. Sono proprio queste contraddizioni che causano quella “rigidità di<br />

comportamenti che caratterizza, talvolta ai limiti dell’autolesionismo, l’immagine esterna<br />

del paese” e per le quali la sua “politica estera rischia, per troppo pretendere, di<br />

mancare anche il possibile” (Armellini, 2008: 183-84). La scelta multilateralista indiana,<br />

e in generale quella asiatica 3 , non manca di ambiguità, perché “sembra trovare terreno<br />

fertile, nelle parole di Landi (2004: 275), in un continente scosso dai nazionalismi<br />

nucleari emergenti, sconvolto da una crescita economica senza precedenti nella storia<br />

moderna del capitalismo industriale (e quindi dominato da fortissimi squilibri sociali e<br />

territoriali) avanza lo strano animale del multilateralismo asiatico” .<br />

Cresciuta con l’idea dello stato che guidava e tutto regolava, l’India ha difficoltà<br />

ad accettare che la globalizzazione, con la sua interdipendenza delle reti, riduca sostanzialmente<br />

la capacità dello stato, non più attore primario, di dar forma e direzione<br />

al processo economico. Abituata all’idea dell’<strong>equilibri</strong>o di potere, fatica anche ad<br />

accettare il “potere <strong>della</strong> dipendenza” 4 oggi dominante. Accettazione resa più ardua<br />

dal fatto che la creazione del consenso interno necessario per affrontare i problemi<br />

politici, economici e di sicurezza è molto più lenta e difficile in un contesto democratico,<br />

condizione che in parte spiega le strategie scelte dai governi indiani.<br />

3 Perfino la SCO e l’ARF abbracciano espressamente il multilateralismo.<br />

4 Il termine “potere <strong>della</strong> dipendenza” venne introdotto da Richard Emersono nel 1962 per<br />

indicare la relazione che si crea tra potere e dipendenza nell’ambito di rapporti di scambio<br />

ed è diventato la pietra angolare di molti approcci che studiano lo scambio che avviene<br />

all’interno di reti. Una delle conclusioni raggiunte è che un intenso sviluppo tramite crescita<br />

economica è generalmente preferibile ad una estesa espansione militare. Con nuovi<br />

investimenti, un paese può trasformare la propria posizione tramite un’espansione industriale<br />

interna che poi viene sostenuta dal commercio internazionale. Per la nazione in ascesa<br />

è quindi preferibile ottenere l’accesso alle economie di altre nazioni, piuttosto che il<br />

controllo territoriale. Lo sviluppo pacifico può prendere il posto dell’espansione aggressiva,<br />

e anche se nessuno può essere certo che le relazioni tra grandi potenze possano restare<br />

a lungo pacifiche, oggi forse esse rendono le prospettive di pace più probabili di quanto lo<br />

siano mai state nel passato (Rosecrance, 2006: 33-35).<br />

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