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L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi

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L’India e <strong>gli</strong> <strong>altri</strong><br />

dere più al presidio del locale che a una logica di integrazione nella global value<br />

chain” (Prodi, 2009: 61-63 e 68-70). In effetti, anche nel caso <strong>della</strong> presenza in India<br />

emergono i soliti problemi italiani: insufficiente dimensione industriale per “far<br />

fronte alle esigenze di un mercato così vasto”; “difficoltà di fare sistema e la tendenza<br />

a muoversi in ordine sparso e a volte in una concorrenza autodistruttrice”;<br />

“ritrosia a passare dalla dimensione commerciale pura a quella de<strong>gli</strong> investimenti<br />

produttivi”; “carenza di strutture di supporto pubblico” (Armellini, 2008: 310). Per<br />

tutte queste ragioni, <strong>gli</strong> IDE italiani cominciarono ad arrivare in India con un notevole<br />

ritardo rispetto ad <strong>altri</strong> paesi europei e a<strong>gli</strong> USA, con dimensioni decisamente<br />

inferiori alla media nel 2007 non rappresentano più del 2% del totale ricevuto da<br />

questo paese. I principali settori verso i quali si diressero <strong>gli</strong> IDE italiani erano: “la<br />

meccanica e i beni di equipaggiamento, in particolare per l’industria dei mezzi di<br />

trasporto, che insieme rappresentano il 52,7% de<strong>gli</strong> insediamenti produttivi” essenzialmente<br />

per servire il mercato locale; l’agro alimentare con il 9%; e il tessile abbi<strong>gli</strong>amento,<br />

per esportare in Europa, anche se la quota venduta in India sta crescendo<br />

rapidamente (Stanca, 2009: 84-85).<br />

A ogni modo, nel campo <strong>della</strong> cooperazione internazionale i rapporti tra i due paesi<br />

restano meno significativi che in quello dell’industria militare e delle tecnologie per<br />

la difesa, campo per il quale fu firmato nel 1993 un MOU che è stato poi rinnovato nel<br />

2003. Questo rapporto considera il trasferimento di equipaggiamenti militari,<br />

l’assistenza tecnica e le attività di cooperazione industriale sulla difesa, attività che<br />

riguardano lo studio di un’unità di sorve<strong>gli</strong>anza oceanografica, siluri pesanti per <strong>gli</strong><br />

armamenti subacquei, fregate e unità navali da combattimento ed elicotteri.<br />

Nel 2008 <strong>gli</strong> investimenti italiani sono arrivati a €230 milioni, un aumento del<br />

90% rispetto all’anno precedente, come sempre essenzialmente concentrati nel settore<br />

manifatturiero, ma “ancora oggi l’Italia non è tra i primi dieci investitori stranieri<br />

nel paese” (Prodi, 2009: 60). Secondo il ministero del Commercio indiano il<br />

valore cumulativo de<strong>gli</strong> IDE italiani a giugno 2007 era di circa $560 milioni, pari<br />

all’1,1% del totale entrato nel paese per cui l’Italia era all’11° posto. La posizione<br />

italiana mi<strong>gli</strong>ora quando si considera il numero di investimenti esteri che implicano<br />

un trasferimento di tecnologia (Armellini, 2008: 325 nota 122).<br />

L’entrata delle imprese italiane sembra essere stata particolarmente facilitata<br />

dalle “collaborazioni tecnologiche”, di imprese per più dell’80% provenienti<br />

dall’Italia settentrionale (Prodi, 2009: 64). Sono così arrivate la Luxotica, la Merloni<br />

Termosanitari, la De Longhi, la Prysmian, la Ferrero e la Danieli. Notevoli investimenti<br />

sono stati effettuati nei settori moda e abbi<strong>gli</strong>amento da Benetton, La Perla,<br />

Zegna, Monti, Marzotto, conceria Virginia, calzaturificio Pucci.<br />

Gli insediamenti italiani in India sono localizzati principalmente sull’asse Mumbai-Pune,<br />

seguito dalla micro regione di Delhi, dal Tamil Nadu (dove sono insediati<br />

Ansaldo, Iveco e ora anche Lavazza), dal Karnakat (dove è l’Italcementi) e Bangalore<br />

(per la meccanica e l’oleodinamica). Considerata l’inefficienza delle reti infrastrutturali<br />

interne, queste localizzazioni “garantiscono una logistica mi<strong>gli</strong>ore sia per<br />

le esportazioni sia per servire il mercato interno”, inoltre “in queste aree è più facile<br />

trovare forza lavoro con le competenze adeguate per garantire produzioni e livelli<br />

qualitativi”. Più di metà <strong>della</strong> produzione in loco delle imprese italiane è diretta al<br />

mercato indiano, così come gran parte dei loro approvvigionamenti proviene da imprese<br />

indiane (Prodi, 2009: 65 e 67).<br />

Ultimamente, la novità di rilievo è rappresentata da<strong>gli</strong> investimenti effettuati in<br />

Italia da gruppi indiani grandi e medi, investimenti che si sono concentrati “sui tra-

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