L'India e gli altri Nuovi equilibri della geopolitica - Ispi
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Introduzione<br />
il nome di harijan, fi<strong>gli</strong> di Dio) dovevano essere riassorbiti tra i sudra, dopo<br />
l’indipendenza (Bartoli: 2008: 102-03 e 107). In altre parole, Gandhi, pur riconoscendo<br />
il legame tra induismo e intoccabilità, temeva che se il riscatto dei dalit fosse venuto<br />
non dalla riforma dell’induismo ma da una batta<strong>gli</strong>a secolare, ciò avrebbe comportato<br />
la separazione dei dalit dalla fami<strong>gli</strong>a indù. Ambedkar accusò sempre<br />
l’induismo di aver diffuso e mantenuto pregiudizi “castisti”, tanto che poco prima di<br />
morire decise di abiurare l’induismo e abbracciare il buddhismo, rivale storico<br />
dell’egemonia sacerdotale indù. A questa conversione, più politica che mistica, seguirono<br />
nel 1981 le conversioni, non necessariamente al buddhismo, di masse considerevoli<br />
di dalit, cosa che spaventò i nazionalisti indù, perché senza le SC la maggioranza<br />
numerica de<strong>gli</strong> indù sarebbe stata seriamente compromessa.<br />
Sempre Ambedkar aveva ottenuto anche per le classi depresse un elettorato separato,<br />
cioè una riserva di seggi ne<strong>gli</strong> organi elettivi, come era stato fatto per la minoranza<br />
musulmana, ma Gandhi si oppose e, minacciando di digiunare fino alla morte,<br />
riuscì, con il patto di Pune (settembre 1932), a far cancellare dal Communal Award la<br />
normativa relativa ai dalit. Il governo coloniale era disposto a concedere elettorati separati<br />
e quote – la reservation policy è una forma di affermative action – perché la<br />
frammentazione <strong>della</strong> popolazione indigena facilitava il mantenimento del dominio<br />
inglese. I leder delle minoranze, spiega Bartoli (2008: 152), accettarono l’imposizione<br />
gandhiana calcolando di poterla sfruttare per ottenere “che la popolazione sottorappresentata<br />
avesse maggiori occasioni di partecipare al potere e al processo decisionale,<br />
contribuendo così a indebolire il monopolio <strong>della</strong> maggioranza indù”.<br />
Fu soprattutto grazie all’azione di Ambedkar che l’articolo 17 <strong>della</strong> Costituzione<br />
indiana vietò la pratica dell’intoccabilità. In seguito, ulteriori misure sono intervenute a<br />
bandirla nelle sue varie articolazioni e a tutela di coloro che la subiscono. Ma la pratica<br />
non è scomparsa, la mentalità castistica persiste, la discriminazione imperversa<br />
ancora, specialmente nelle campagne e la violenza castale causa annualmente centinaia<br />
di decessi, atti spesso tollerati o commessi dalla stessa polizia (Luce, 2010:<br />
125). Il fatto che tra <strong>gli</strong> intoccabili sia cresciuta la consapevolezza dei propri diritti e<br />
siano mi<strong>gli</strong>orate le condizioni di vita, ha sollevato le rivendicazioni di altre porzioni<br />
<strong>della</strong> società indù, provocando scontri e sanguinosi incidenti. Inoltre, quelle misure<br />
legislative promosse per sanare le disegua<strong>gli</strong>anze ereditate dal sistema castale,<br />
hanno avuto l’effetto perverso di rendere ancora più evidenti <strong>gli</strong> intoccabili, esponendoli<br />
maggiormente alla discriminazione ordinaria.<br />
In effetti, i dalit, o piuttosto <strong>gli</strong> ex intoccabili, sono ancora adesso vittime di emarginazione<br />
e abusi, soprattutto nelle campagne; il loro status sociale non è cambiato e<br />
rimangono ai margini <strong>della</strong> società. Rispetto alla media nazionale, la probabilità di un<br />
dalit di essere disoccupato, di vivere al di sotto <strong>della</strong> so<strong>gli</strong>a di povertà o di essere impiegato<br />
nei lavori più umili è doppia. La mancanza d’istruzione e formazione, la discriminazione<br />
sul lavoro e la marginalizzazione sociale mantengono tutt’oggi questo<br />
giogo sui dalit, che rappresentano tra il 16 e il 20% <strong>della</strong> popolazione indiana. Delle<br />
loro condizioni è difficile presentare un profilo coerente e unitario, ma è stato provato<br />
da Deshpande (2003: 75-76) che esiste una forte correlazione tra appartenenza a<br />
una casta bassa e povertà. Secondo Mander (2004: 102) le divisioni castali sgomentano<br />
ancora, come dimostra il fatto che in più di un terzo delle scuole rurali di dieci<br />
stati i bambini dalit vengono tenuti separati da<strong>gli</strong> <strong>altri</strong> bambini.<br />
Oltre a rappresentare una violazione dei diritti fondamentali, l’intoccabilità,<br />
l’aspetto più offensivo del sistema sociale castale, continua a costituire un enorme<br />
ostacolo allo sviluppo e alla realizzazione di una società che possa dirsi veramente<br />
democratica. Per limitare le disegua<strong>gli</strong>anze sociali, il governo favorisce i dalit tramite<br />
la distribuzione di terre, ma soprattutto riservando loro il 15% dei seggi parlamentari,<br />
il 15% dei posti nel pubblico impiego e una quota nei vari ordini di scuole. L’adozione<br />
di un sistema di regole per promuovere l’ascesa professionale e sociale dei gruppi<br />
sfavoriti provoca, però, anche tensioni e recriminazioni nel resto <strong>della</strong> popolazione<br />
povera appartenente a caste superiori.<br />
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