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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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170 T.H. Barret<br />

il gruppo dominante <strong>della</strong> <strong>Cina</strong> settentrionale, la sottomissione di quel l’area da<br />

parte di non cinesi portò a una migrazione verso sud <strong>della</strong> di nastia Chin dominante.<br />

Fino al 280 d. C., la <strong>Cina</strong> meridionale era rima sta sotto il controllo del regno<br />

indipendente di Wu, le cui più importan ti famiglie erano orgogliose di mantenere<br />

la tradizione del passato, di versamente dai loro oppositori del Nord. I rifugiati<br />

del Chin finirono per costituire il livello più alto dell’élite aristocratica. Le principali<br />

fa miglie del Sud avevano molte conoscenze sulle pratiche per raggiungere<br />

l’immortalità, ma poco potere politico e inevitabilmente finirono in po sizioni di<br />

secondo piano. Così, nel Pao-p’u-tzu, lo scrittore del Sud Ko Hung (283 ; 343) dedicò<br />

metà dello spazio a un sermone sulla caduta de gli ideali confuciani e l’altra metà a<br />

entusiastiche descrizioni dell’alchi mia e di altre conoscenze arcane: l’una e l’altra<br />

non sono che le due fac ce <strong>della</strong> sua incapacità di fare carriera presso la nuova corte<br />

meridionale.<br />

Dopo la costituzione <strong>della</strong> via dei maestri celestiali nella <strong>Cina</strong> del Sud, gli aristocratici<br />

di qualche generazione successiva a quella di Ko Hung sentirono il bisogno<br />

di rassicurazioni sul fatto che la loro provvi soria mancanza di potere fosse<br />

compensata dall’accesso alle ricchezze spirituali. Questa rassicurazione venne fornita<br />

da un visionario chiama to Yang Hsi, il quale nel 370 d. C. rivelò una serie di<br />

scritture prove nienti dal regno <strong>della</strong> Purezza Superiore, Shang-ch’ing, un regno più<br />

alto di quello con cui erano in comunicazione i maestri celestiali. Questi te sti, che<br />

rinnovavano e riaffermavano il valore delle pratiche alchemiche e meditative del<br />

Sud, paiono avere ispirato un discendente di Ko Hung, chiamato Ko Ch’ao-fu, a<br />

pubblicare un’ulteriore raccolta di rivelazioni nel 400 d. C.: il canone del Ling-pao, o<br />

del «sacro gioiello», che com prende elementi — come i testi dei rituali — assenti<br />

negli scritti del Shah ch’ing (anche se presenti nella via dei maestri celestiali) e che,<br />

almeno in origine, pare fossero testi di scuole rivali.<br />

Le scritture di Ko Ch’ao­chi chiariscono inoltre definitivamente un aspetto<br />

che già si poteva scorgere nelle rivelazioni di Yang Hsi: tra le tradizioni religiose<br />

meridionali comprese in queste nuove opere c’era an che il buddhismo.<br />

Verso il 400 d. C. il buddhismo aveva già una lunga storia in <strong>Cina</strong>, e la sua influenza,<br />

anche se piccola all’inizio, crebbe a tal punto, durante il secolo IV d.<br />

C., che è impossibile tracciare la storia <strong>della</strong> religione cinese senza soffermarsi<br />

a considerare la fede indiana. Fi nora ho seguito lo sviluppo <strong>della</strong> tradizione<br />

nella <strong>Cina</strong>, prima come so stituto di un potere imperiale che si era indebolito<br />

e poi come religione di un’élite. Che questa tradizione sia chiamata la «religione<br />

cinese su periore», come fanno talvolta gli studiosi odierni, non è ingiustificato:<br />

con l’inizio del secolo V è possibile indicare un grande numero di passi,

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