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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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26 Jonathan Spence<br />

La <strong>Cina</strong> dopo la rivolta dei Boxer, ossia quella <strong>della</strong> «nazione aper ta», del collasso<br />

<strong>della</strong> dinastia Ch’ing, <strong>della</strong> nascente repubblica, del pe riodo dei signori <strong>della</strong><br />

guerra, <strong>della</strong> guerra civile tra Kuomintang e co munisti, non poteva pretendere che<br />

gli occidentali le si rivolgessero per spigolarvi saggezza, anche se, naturalmente,<br />

ora che a casa loro si verifi cavano eventi come la prima guerra mondiale, la rivoluzione<br />

bolscevica, la grande depressione e la nascita del nazismo, gli occidentali<br />

non pote vano più congratularsi con se stessi dell’armonia regnante nella propria<br />

cultura. Tuttavia è interessante notare all’inizio del secolo XX una for te fioritura di<br />

studi sulla <strong>Cina</strong> da parte degli occidentali. Ai lavori pio nieristici del secolo XIX, di<br />

autori come James Legge, Thomas Wade, W. A. P. Martin e S. Wella Williams, fecero<br />

seguito quelli di Edouard Chavannes e Otto Franke nella storiografia classica,<br />

di Arthur Waley nella poesia, di Osvald Siren nella storia dell’arte, dí H.B. Morse<br />

nella storia <strong>della</strong> diplomazia e di Kenneth Scott Latourette nel ricostruire la storia<br />

delle missioni. Molti dei collaboratori al presente volume hanno un forte debito intellettuale<br />

nei riguardi di quel gruppo di studiosi, e il fatto che, all’inizio del secolo,<br />

dedicassero gran parte delle loro, ener- gie intellettuali alla <strong>Cina</strong> è certo un segno<br />

di rispetto nei riguardi del l’antica ricchezza intellettuale cinese (ci furono anche dei<br />

falsi come Ed mund Backhouse, che però costituisce certamente un’anomalia) 14 .<br />

Nell’elenco di studiosi sopra riportato compaiono uno svedese, un francese,<br />

un tedesco, un inglese e un americano, e ciò indica che per quanto riguarda il XX<br />

secolo la storia dell’interesse dell’Occidente per la <strong>Cina</strong> va affrontata in un contesto<br />

internazionale. Forse l’internazio nalizzazione è dovuta alla presenza del telegrafo<br />

e al crescere del nume ro di giornali che impiegavano corrispondenti esteri, forse<br />

ai cambia menti nell’industria editoriale mondiale, o forse al gran numero di esu li,<br />

volontari o politici, di altre nazioni ospitati in ogni nazione occiden tale. Ma il XX<br />

secolo ha assistito a una tale proliferazione di atteggia menti diversi nei riguardi<br />

<strong>della</strong> <strong>Cina</strong>, da costringermi ad abbandonare l’impostazione cronologica e a raggruppare<br />

tali atteggiamenti in vaste categorie, se vogliamo dare un senso a quanto<br />

è successo.<br />

Una rassegna dettagliata può assumere come punto di partenza<br />

la pro spettiva accurata, anche se forse limitativa, del fondamentale libro<br />

di Harold Isaacs, Scratches on Our Minds 15 . Isaacs suddivide l’attenzione<br />

14 Una buona documentazione sulla crescita di questa tradizione sinologica è data in Ar thur F.<br />

Wright, «The Study of Chinese Civilization» in fournal of the History of Ideas, XXI, 1960. Su Backhouse<br />

si veda Hugh R. Trevor-Roper, Hermit of Peking: The Hidden Life of Sir Edmund Blackhouse, New York,<br />

Knopf, 1977.<br />

15 Harold Isaacs, Scratches on Our Minds: Western Images of China and India, New York,

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